venerdì 6 febbraio 2015

Era nelle mani la sua inadeguatezza



Vidi mia madre guardarlo in modo sospettoso. E’ una persona sospettosa, mia madre. E’ sospettosa specialmente di due cose: gli uomini strani e le uova bollite. Quando apre un uovo bollito ci scruta dentro come se si aspettasse di trovare un topo o qualcos’altro. Con gli uomini strani ha una regola d’oro che dice: "Più gradevole sembra essere un uomo, più devi essere sospettosa. Quell’omino era particolarmente gradevole. Era educato. Parlava bene. Era ben vestito. Era un vero gentleman. Sapevo che era un gentleman per le sue scarpe. "Puoi sempre dipingere un uomo dalle scarpe che indossa" era un altro dei detti preferiti di mia madre. E quest’uomo aveva delle meravigliose  scarpe marroni…
I suoi modi erano fini e delicati. Il suo viso rugoso e vecchio mostrava le pieghe della sua decadenza fisica. In bocca mordeva sempre un sigaro; l’effluvio acre impregnava i suoi polpastrelli affusolati e ne rivelava la mordace consumazione. E quelle mani abili e morbide avevano delle movenze maliardiche, incantatrici. Era nelle mani la sua inadeguatezza. Mia madre ne convenne subitamente e ne rimase turbata. Vidi i suoi occhi lampeggiare e il sole tramontare dietro di lei. La finestra si spalancò, il vento la seguiva. Nella stanza scese il gelo. Il silenzio fu scalfito dalla follia delle sue chimere. In un attimo cambiò il volto di ogni cosa. 
In un giorno che potrei definire anonimo e banale, fra il tepore di un sole che andava a morire, in un luogo che tutt'oggi mi rimane indefinito, perché poco lo contemplai, conobbi  quell’uomo a lei conosciuto. Quelle sue mani un tempo l’avevano cinta, ne sentiva la forza e la consistenza. Conosceva quel sospetto. Mia madre non era una donna comune: nascondeva segreti inaccessibili anche per noi figli. Era stata una donna e chissà quante altre. Da uno scritto sgualcito, anni or sono, venni a scoprire per caso che mia madre era stata abbandonata all’età di tre anni in uno squallido orfanotrofio in Russia. Ancor più sconvolgente divenne una scoperta inaspettata e incomprensibile: mia madre era una Spia del KGB. Me lo confessò  una mattina di tanti anni fa, mentre facevo colazione, mentre lei beveva il suo caffè verde ed io annegavo i miei dubbi,  costringendomi ad una dolorosa verità. Mia madre mi colpiva intimamente, con verità spiazzanti, nelle ore belle e dolci quando il sole esplodeva di vita.  Seppi più avanti che uccise spietatamente degli uomini.
Tuttavia capii che quella donna, seppure mi fosse madre fino alle viscere, mi sarebbe rimasta per sempre sconosciuta. E adesso che nei suoi occhi scorgo il turbamento, capisco che di quell’uomo ha paura. Entrambi erano lì per lo stesso sporco scopo. Gli assassini hanno un fiuto particolare per riconoscersi. Io accompagnai mia madre perché fu lei a chiedermelo, avrei dovuto sospettare che volesse rovinarmi la giornata.
 Mia Madre, davanti a me, tirò fuori la sua pistola guardandomi con uno sguardo che mai le rividi più, sparò. Il vecchio uomo cadde accasciandosi a terra. Le sue scarpe s’imputridirono di sangue. Dalla sua giacca la polizia ricavò la carta d’identità, Andrea Siriani, servizi segreti Americani; era anche lui una Spia. Mia madre fu arrestata; non si oppose. Ogni tanto le faccio visita. Non parlammo più di quanto accadde quel pomeriggio. Soltanto adesso capisco la paura e l’infelicità provata nel conoscere e nell’uccidere suo padre. Si dice fosse il suo ultimo incarico nel KGB.
 
Maria Valentina Attinà
 
 
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