venerdì 27 dicembre 2013

Hippolita 9

Eracle e Hippolita quella sera giacquero insieme per la prima volta, anche se non lo era. I loro corpi si conoscevano anche se non si erano mai toccati. Le loro orecchie sentirono gemetti antichi e nuovi. In quella confusione di percezioni e di esperienze, i ricordi si mescolarono al presente in un calderone esplosivo. Eracle non volle che Hippolita si togliesse la cintura, gli dei potevano decidere di attaccare in qualsiasi momento. Così lei la indosso sopra la sua pelle. La sua prima volta invece il semidio gliela tolse e la posò sopra la sua pelle di leone. Entrambi suoi trofei, uno di guerra e uno di amore. La prima volta fu selvaggio e fu lei a stare di sopra. Lui era il suo strumento di piacere. Stavolta fu più dolce e fu lui a stare di sopra. Entrambi erano lo strumento del piacere dell’altro. Questa sera fu la loro prima volta e non lo fu. Quella  volta Eracle uscì dalla sua tenda quando ebbero finito. Questa volta rimase con lei abbracciati e si addormentarono insieme.

lunedì 4 novembre 2013

Roccaforte del Greco: la parte migliore che si è

Ogni popolo ha una sua particolare ipocrisia che chiama le sue virtù.  La parte migliore che si è non la si conosce e non la si può conoscere perché spesso non la si vuol conoscere veramente. È sociologicamente indagabile, dunque, quel popolo che sebbene si compatti, unendosi, nel savaguardare la propria dignità dalle altrui critiche, svolga con i medesimi strumenti cognitivi un' opera di disgregazione e di abbandono riconducibili probabilmente ad una atavica incomunicabilità. Prendere atto delle virtù ipocrite del nostro popolo servirebbe quantomeno a riabilitarlo e a riabilitarci ad una metacomunicazione  del tutto sottovalutata e pressoché assente. È, poi, così difficile conoscere quale sia "la parte migliore che si è",  la vera essenza di un popolo?  Si propone tal quesito al popolo di Roccaforte del Greco, vittima e carnefice di se' stesso, masochista  interlocutore di politicanti professionisti che, stabilmente da pochi mesi, rammentano al mondo altro sia l'esistenza del paese aspromontano  sia il bisogno di libertà,  legalità e democrazia, parole abusate oltremodo da questi vecchi o giovani tromboni di partito. Lo vengono a dire loro che non abbiamo libertà, loro che ce l hanno tolta gestendo indegnamente il nostro territorio e noi piu' sciocchi a votarli, ci insegnano loro che cos' è la legalità, loro che pe lu cugnu per l'amico o parente sono a disposizione ma la Cancellieri ha fatto un gesto inqualificabile,  loro che si ricordano ora che la nostra democrazia è interrotta, dopo anni di silenzio tombale, loro che vivono la 'ndrangheta nei palazzi di potere e poi vengono nei piccoli paesi a riabilitare i ladri di galline impartendo lezioni di legalità e onestà,  loro infine che si mobilitano soltanto per salvare quegli ultimi voti rimasti in queste terre arse o, perché no, facendo strada a qualche nuovo asservito al potere bisognoso di notorietà e di un lauto stipendio.

venerdì 25 ottobre 2013

Hippolita 8

Hermes avanzò nel buio della caverna. Tutto era andato secondo i suoi piani. L’illusione che aveva preparato aveva ingannato quei due sciocchi e ora si prestava ad incontrare il suo alleato. La divinità dalla natura ambigua si inginocchiò al suo cospetto.
-Tutto sta andando secondo i nostri piani?- chiese il suo alleato nascosto nelle tenebre
-Si mia signora…-
-Bene… ora non ci resta che aspettare. Tu, mio caro, salverai noi tutti dal destino che ci era stato riservato. Quello sciocco di Zeus aveva vincolato tutti noi a quel patto. Non avremmo più dovuto intervenire nelle questioni dei mortali. Lo abbiamo fatto e come siamo stati ripagati? Con l’oblio. La fede dei mortali è venuta meno e noi ci siamo sempre più indeboliti. Per poter mantenere un briciolo del nostro potere, una minima parte, ci siamo dovuti nascondere con le sembianze degli umani! Io ho dovuto usare la mia saggezza per architettare questo piano-

venerdì 11 ottobre 2013

Il più grave errore del governo Letta-Alfano

Vista la grave crisi economica che affligge il nostro paese, dove mai poteva commettere uno tra i più gravi errori il governo delle Larghe Intese? Ma ovviamente in campo economico, dove ogni errore ci potrebbe costare caro e portaci ad una situazione ancora più grave (vedi Spagna e Grecia). Di che mancanza si èmacchiato? Ovviamente dell’aumento dell’Iva, secondo quasi tutti infatti questo potrebbe portare ad una ancora maggiore riduzione dei consumi e questo vuol dire diminuzione dei guadagni per tutti gli esercizi commerciali, vuol dire anche aumento del costo della vita per tutti gli italiani, infatti si è calcolato che dovrebbe costare, secondo il Codacons, circa 350 euro in più alle famiglie italiane. Famiglie italiane che in media non se la passavano già bene e che non riuscivano ad arrivare a fine di mese. Questo aumento andava evitato, tutti lo sapevano e il governo si era imposto fin da subito di lavorare ad evitarlo. Come però si è arrivato a compiere questo fatal errore? In che modo è nato? Alla nascita del governo stesso. Da subito si è messo al primo punto il superamento (in realtà la cancellazione) dell’Imu invece di bloccare l’aumento dell’Iva. Sull’agenda del governo non faceva che pesare  questa tassa, si dovevano trovare i fondi per cancellarla ad ogni costo, nei mass media non si faceva che parlarne. Io mi chiedevo il motivo, perché non concentrarsi prima sull’Iva visto che la nostra crisi è dovuto anche alla diminuzione dei consumi? Perché non evitare che si aggravi. Ovviamente era un motivo politico. L’imu era una causa politica del Pdl, la battaglia durante la campagna elettorale. Il superamento dell’Imu era così importante? A che cosa ha portato in realtà? Che si sono dovuti trovare fondi per cancellarla che si potevano usare per bloccare l’aumento dell’Iva innanzitutto. Inoltre l’Imu essendo l’entrata maggiore dei Comuni per poterla supplire sicuramente hanno dovuto aumentare tutte le altre tasse. Questo ha portato alla diminuzione della pressione fiscale tanto proclamato da tutti i politici come il maggior danno della nostra vita economica? Io non credo anche se io non sono un economista e sto cercando di fare un ragionamento con il buon senso. Alla fine che cosa è successo? Che non si è fatta pagare una tassa a persone che magari come prima casa avevano una villa con tre piani e piscina annessa, però si farà pagare di più ai consumatori italiani che ogni mese fanno gli acrobati usando la calcolatrice, le bollette e gli scontrini della spesa. All’italiano medio è stato di nuovo ridotto il potere di acquisto, mentre ai ricchi è stato aumentato. Meno male che questo governo doveva ridurre la disparità sociale. Adesso non ci resta che cosa faranno in merito all'eccessiva tassazione del lavoro... e già tremo. 

sabato 5 ottobre 2013

Ipocrisia nazionale

Ipocrisia nazionale.


Dopo la strage di Lampedusa, il cordoglio, la pietà e il lutto nazionale sono stati i sentimenti predominanti da parte degli italiani. Quasi tutti hanno pianto per quei corpi senza nome che galleggiavano nell’acqua, partiti con la speranza di non morire di fame in Italia, sono morti in ogni caso. Quasi tutti hanno applaudito caldamente alle parole di papa Francesco. Il suo vergogna però non ci ha fatto vergognare, con vuote attestazioni di stima abbiamo corso a dire che aveva ragione, qualcuno con un briciolo in più di coscienza ha abbassato il capo e ha taciuto. Ci siamo dimenticati per un attimo delle nostre leggi che non permettono l’integrazione, dei nostri insulti per strada, dei cori da stadio, dei nostri pregiudizi verso tutti gli extracomunitari. Li abbiamo sentiti vicino a noi, come dei poveri sfortunati. Non tutti, la voce di alcuni ha continuato a cantare la solita campana del razzismo, a usare la tragedia per dire che loro hanno ragione (Vanno aiutati in patria, non in casa nostra!), per il momento la maggioranza silenziosa ha un altro sentimento ed è quello del cordoglio, non ascolterà questa campana per il momento. In futuro però? Infatti come diceva Ugo Ojetti,  l’Italia è un Paese di contemporanei senza antenati né posteri perché senza memoria di se stesso. Gli italiani vivono nel presente e oggi in cui è ancora vivido il ricordo della tragedia accoglierebbero un altro po’ tutti gli immigrati clandestini a braccia aperte, purché ovviamente provengano dall’africa, per i rumeni il discorso è diverso. Quando però la memoria inizierà a rendere fumoso il ricordo di questi morti galleggianti che cosa succederà? Io credo di saperlo e credo che anche voi lo sappiate. I vecchi sentimenti ritorneranno e ritornerà il vecchio razzismo, perché per quanto cerchiamo di ingannarci, noi italiani siamo razzisti. Domani quando il nostro senso di colpa non ci premerà sul cuore, torneremo a dire negri di merda, non se ne possono stare a casa, non possono rimanere in africa a mangiare banane con le scimmie, io non sono razzista però non mi portare a casa un nero/a ecc. Quando questo periodo di ipocrisia passerà, la maggioranza tornerà al recente passato, forse qualcuno tornerà a sostenere che la guardia costiera dovrebbe sparare contro i gommoni. Chi lo sa. Questo è ciò che mi dice la mia testa, nel mio cuore però spero di sbagliarmi e che la mia gente si riveli più civile di quanto pensi. Cazzo! Contradditemi e dimostrate che la nostra non è ipocrisia, che ci vergogniamo davvero e che sappiamo che è anche colpa nostra se quelle persone sono morte.


martedì 18 giugno 2013

Celebrata a Melito Porto Salvo la giornata dell’ambiente

Di Rosalia Francesca Salvatore
 
Si è svolto a Melito P.S. l’incontro dal titolo “Amata Terra Mia …” presso il Piazzale della Chiesa dell'Immacolata.  La manifestazione si è aperta con la mostra di pittura dei quadri "i mille volti della natura" a cura degli artisti Locali.
Il 5 giugno è la giornata che l' UNEP dedica alla giornata Mondiale dell'Ambiente e Mondo Verde Club , quest'anno, più che mai, ha avvertito il forte desiderio di partecipare all'evento, posticipato per ragioni organizzative.
Un vero successo e un momento importante per la collettività. Gli ambientalisti coordinati dal presidente di Mondo Verde l’ avvocatessa Aurelia Sansotta, hanno voluto creare un feeling con il resto del pianeta, scegliendo come punto d’incontro il Piazzale dell’Immacolata, scelta a testimonianza del rispetto per l’ambiente, per una maggior attenzione e rispetto per il Creato a dire della Guida Spirituale della Parrocchia, Don Benvenuto Malara.  Attivo da oltre 40 anni, a dimostrazione del suo amore e rispetto per l’ambiente ha prontamente accolto l’invito ad ospitare la manifestazione, partecipando all’ evento, anche come ospite, con il compito di far riflettere i partecipanti sull’uomo come tesoriere delle bellezze della natura e sulla correlazione esistente e dominante tra Sacre Scritture e rispetto del Creato. Don Malara ha evidenziato questa correlazione leggendo il Salmo ottavo (“O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza”). Il momento spirituale ha richiamato a seguire “ percorsi di riflessione condivisa”, di cui patrocinio morale della Provincia, a cura del nucleo operativo di Mondoverde. Nel corso dell’incontro dal titolo : “ amata terra…!” gli attivisti Giusy Iacopino, Francesco Manti, Francesco Rodà,  hanno indotto i partecipanti a riflettere sulle tematiche connesse allo sfruttamento delle risorse. Partendo dagli elementi che costituiscono l’essenza della vita : acqua, aria, terra e fuoco. Il viaggio al centro della terra ha avuto inizio con l’affermazione “non ti ho amato … perché ho inquinato l’acqua” e in corrispondenza sono state affrontate le problematiche relative all’acqua nel territorio Calabrese, sfociate nella raccolta di legge per il referendum regionale portato avanti dal “coordinamento Bruno Arcudi”.
Per il non ti ho amata relativo all’inquinamento dell’aria, con la consapevolezza che alcuni a Saline Joniche vogliono vedere nascere una centrale a Carbone, Mondoverde, ha fornito risposte concrete agli ambientalisti presenti, evidenziando l’impegno profuso dall’Associazione per questo problema, impegno sfociato nella firma per la presentazione del Ricorso, insieme ad altre sette associazioni del Coordinamento No Carbone presenti nell’aria Grecanica ed unitamente all’Associazione “ Italia Nostra” e che giorno 2 Luglio verrà discusso contestualmente a quello presentato dalla Regione Calabria. Per il “Non ti ho amato perché ho inquinato la terra ” è stato affrontato il grosso problema ambientale della spazzatura che aumenta a vista d’occhio lungo le strade di ogni centro urbano della Calabria e la necessità emergente di differenziare: l’unica soluzione possibile affinchè la spazzatura prodotta venga tramutata in risorsa ed opportunità di lavoro e non bruciata per produrre diossina o buttata nelle discariche per produrre percolato. E’ stato messo in evidenza il contributo di MondoVerde per la raccolta di firme a supporto della legge d’iniziativa popolare “rifiuti zero” . Ogni sabato e domenica fino a fine settembre MondoVerde sarà presente nei punti più affollati della città per raccogliere firme e dare una mano alla riuscita dell’iniziativa.
Di indubbia rilevanza l’intervento del Naturalista, Dr. Domenico Morabito , che ha iniziato il suo intervento con la proiezione di alcune slide sui temi “pensa, mangia, risparmia, proteggi”, natura più cibo, natura e sviluppo, natura e salute e ha evidenziato la correlazione tra ambiente, e abbandono del territorio, rimarcando l’inevitabilità del dissesto idrogeologico come conseguenza dell’abbandono dei paesi interni. Dopo aver evidenziato la necessità etica di ritornare ad amare il territorio che ci ospita ha calorosamente sostenuto la tesi di Corrado Alvaro, secondo cui, a salvare l’ambiente, saranno le donne, custodi della memoria, proprio per la loro capacità di procreare e per l’istinto materno connaturato alla loro essenza. Toccante l’interpretazione del Cantico delle creature eseguito all’inizio dell’incontro con la collettività, da R.S., accompagnata dal musicista in erba Carmelo Romano, così come d’indubbia valenza è stata l’interpretazione della poesia Mattino di Garcia Lorca sull’acqua e un’inedita riguardante le tematiche ambientali e la violenza dell’uomo a madre terra. Un momento particolarmente toccante quello sugli incendi boschivi e la riflessione sui Pini Loricati, a cura del presidente di Mondo Verde l’avvocatessa Aurelia Sansotta, che si è servita della poesia della dottoressa Virginia Iacopino, “Pini Loricati” tratto dal libro “Miele è la solitudine che cerco” e accompagnata con la chitarra dal giornalista domenico Salvatore.
L’evento si è concluso con la proiezione del video-documentario sui mutamenti climatici “2075” . E per finire “pensando ai nostri sapori” si è gustata la lestopitta della bottega di Bacco ( Spazio fiera Roghudi).
***
Domenico Morabito da oltre diciotto anni si occupa dei processi naturali ed indotti che hanno innescato il fenomeno abbandonico dei sistemi, in particolare quelli rurali, e di conseguenza della dissolvenza dei paesaggi e degli ecosistemi correlati.
In particolare, grazie alla mia attività di ricerca e progettazione, alla fine degli anni 90 si è riusciti a intervenire sul Borgo di Pentedattilo con una serie di progetti europei.
Un altro impotrante progetto da lui realizzato è stato il Centro Recupero Tartarughe marine TARTANET a Brancaleone, unico progetto europeo di conservazione della natura LIFE, del quale sono stato responsabile fino al termine del progetto europeo.
Svolge attività di consulente naturopatico presso l'Istituto Specialistico NeoPhysis di Reggio Calabria.

lunedì 17 giugno 2013

Gallicianò l'El dorado di storia, cultura e civiltà : «Àzzali christianì ti prostàzete ta Idrìmata, sas gràfome ghiatì den ìmmasto sìmfoni apànu sta pràmata ti egràspasi cambòsse efimerìde platègonda an ta telestèa fàtti tis dikeosìni pu enghìasi to ccèddhi chorìo tu Gaddhicianù, o pìos èchi ta dicà-tu charakteristikà ce tes dikèntu omorfìe stin parapoddhì palèa glòssa grèca tis Calavrìa ti ene ena megàlo calò ti to UNESCO sèli na pparèssi. I dikì-ma pricàda ghènete lìssa sciporègonda pos ta mass-media ethnikà ce an tes merìemma eplatèssa apànu sce tùndo tèma (èchonda ciòla ecìnu pu tos eiàssa apìssu me plen o plen lìgo sciporessìa), cànnonda ìvri ùlli tin cumunìa tu Gaddhicianù pòse mìa crifunìa àsce parapoddhù àcharu christianù, me àddha lòghia cànnonda àsce ùllo to chòrto ena fortì, den canunònda ton pòno tos christianò pu den èchusi merticò sce tùnda pràmata. Òtus ène ti ston ìdio kerò ene annòristi, chedemmèni, den diameremmèni, colimèni tin dulìa ton christianò pu amburiàzonde ghià na pàu ambrò ta calà pràmata tu chorìu, tis cultùra ce tis iconomìa, ti cèrta ene ta plen megàla merticà ton christianò, ghià na mi tegliòi tùti cumunìa sto scotìdi ce stin addhimmonimìa. Ùnti ti den piànnome merticò stes efimerìde ce stin tileòrasi, thàmme ene ghià tùndo pràma ti ene aghìresta ta màgna ce pìzila pràmata tis cumunìa tu Gaddhicianù ce èrchonde feremèna ambrò manachò ccèglia fattùcia ti den cànnu ìvri to alisinò ce pìzalo Gaddhicianò. Tùta fàtti iuvègusi manachò ecinò ce cànnu megàle zimìe sce ùlli tin cumunìa. Ghiàtto, cuddhìzonda me megàli putìri ti i plen poddhì christianì tu Gaddhicianù ene làrga an ta àscima pràmata ti egràstissa stes efimerìde ce an tin andràngheta, cràzome ecìnu pu meletàu, ecìnu pu gràfusi ce ùllu ecìnu ti sèlu na èrtu na ìvrusi to Gaddhicianò, na to càmusi àsketa, ghià na nghìusi me ta chèria tin plusìa tis istorìa, cultùra, athropìa, filoscenìa, ti ene to calòs-ìrtese 'sce tùndi cumunìa pu èchi chigliàde chrònia».



GALLICIANO’- E’ rivolta a tutte le istituzioni, la lettera giunta dal borgo ellenofono, a firma del Presidente dell’Associazione CUM.EL.CA., Giuseppe Zindato.
Egregi Signori che rappresentate le Istituzioni ai vari livelli, scriviamo a voi per discostarci da quanto è stato scritto da alcuni giornali a proposito delle vicende giudiziarie che  hanno interessato il borgo di Gallicianò, la cui peculiarità e bellezza è nella lingua grecanica che è oggetto di interesse da parte dell’UNESCO, in quanto bene immateriale. Il nostro rammarico si trasforma in sdegno nell’apprendere come i mass-media Nazionali e locali hanno trattato la questione (trovando anche chi li ha sostenuti più o meno consapevolmente), descrivendo la comunità Gallicianese tutta come un covo di criminali, cioè facendo di tutta l'erba un fascio, indifferenti alla sofferenza delle persone non implicate nella vicenda. Infatti contemporaneamente viene ignorato, sottovalutato, non valutato, ostacolato il lavoro di chi, sicuramente la maggioranza dei cittadini, si prodiga in ambito sociale, civile, politico, culturale ed economico per non fare finire questa comunità nell’oblio. Probabilmente, il non far parte del grande circuito mediatico, fa sì che siano trascurati i molteplici aspetti positivi e vengano portati alla ribalta solo aspetti marginali e non rappresentativi della vera realtà di Gallicianò. Tali fatti assumono una valenza totalizzante fine a se stessa ed offensiva della stessa comunità. Pertanto, nel ribadire con forza che la stragrande maggioranza dei cittadini di Gallicianò è estranea a dinamiche criminali e alla cultura mafiosa, si invitano nel contempo studiosi, giornalisti e coloro i quali vogliano venire a visitare Gallicianò, a farlo senza pregiudizi, affinche si rendano conto della ricchezza di storia, cultura, umanità, accoglienza ed ospitalità, che sono il biglietto da visita di questa millenaria comunità».

domenica 16 giugno 2013

Hippolita 7



7
Monte Olimpo.
Il monte più alto della Grecia. Un monte come tanti a prima vista e così è infatti. Non sembra la dimora degli dei e non lo è… eppure attraverso questo luogo si accede ad un altro piano dimensionale. La sede degli dei. Due troni d’oro in fondo alla stanza sostenuta da tantissime colonne dello stesso materia. Un tempo ci si sarebbero seduti sopra il re e la regina degli dei. Zeus e Era. Entrambi però sono morti. Ora ci è seduto uno dei vecchi dei. Ade. Uno dei responsabili del massacro. Fuori questa sede, posta in un luogo su cui non interferiscono né le leggi della fisica né quelli spazio temporali vi è un gruppo di individui. A prima vista sembrerebbero un gruppo di normali escursionisti, ma non lo sono. Sono dei. La prima a passare è una donna sui cinquanta anni che di professione fa la contadina, ma non appena oltrepassa la soglia che divide il nostro mondo da questo luogo diventa Demetra, la dea della terra e delle messi, sorella di Zeus e madre di Proserpina, moglie di Ade.
Gli dei hanno deciso di far passare prima lei affinché le due divinità si chiarissero. Dovevano infatti trovare un compromesso per il bene di tutti loro.

martedì 4 giugno 2013

Cara Conchita Roccaforte del Greco è feudo di storia e cultura


Pubblicato su: Nta Calabria

ROCCAFORTE DEL GRECO- «Nutrire sentimenti confusi, di odio e amore, nei riguardi del paese in cui si è nati- affermò Mario La Cava ne Il Piemontese che adottò il Sud- è cosa che può accadere in tutte le latitudini: se si è altrove, si sogna il ritorno; se poi si rimane, si vorrebbe fuggire via».
La Calabria è una delle regioni in cui quest’ambivalenza dell’animo umano più si manifesta e a Roccaforte del Greco ha segnato la fine di un’intera comunità. Dato che il pregiudizio e la supposizione di colpevolezza accompagna noi calabresi, inviata Conchita, le specifico che non vi deve essere identità alcuna, di lombrosiana memoria, tra l’essere calabresi e il comportarsi da ‘ndranghetisti.

sabato 1 giugno 2013

Il ritorno alla fossa occipitale mediana


Il ritorno alla fossa occipitale mediana.

Più di un secolo fa, un famosissimo studioso italiano, Cesare Lombroso, il cui nome, secondo me, la storia non dovrebbe dimenticare, fece l’autopsia sul brigante Villella, scoprendo nel cranio una fossa, che chiamò occipitale mediana. Una grande scoperta secondo lui, che dimostrava non solo la nostra discendenza dai primati ma che gli atti criminali fossero dovuti a tare fisiche. Aveva scoperto il delinquente nato. Il luminare però non si fermò qui. Fece un semplice paragone: Villella era simili a tutti gli altri meridionali, dunque in tutti loro vi doveva essere questa fossa occipitale ed ecco giungere alla generalizzazione: tutti i meridionali sono uguali e quindi sono biologicamente inferiori. Il nostro destino era inciso nel nostro corpo, eravamo assetati di sangue e non rispettosi della legge o dello Stato. Un’orda barbara.  Gli UNNI del XIX secolo

giovedì 23 maggio 2013

L'UMANITA' DEGLI ANIMALI E LA DISUMANITA' DEGLI UOMINI


Le meraviglie della natura: le Cascate dell'Amendolea





La maestosa Diga del Menta




IL PROFETA

Il profeta
Come ogni sera, la chiesa è tutta per me. Il silenzio religioso è interrotto solo dai miei passi. Mi lascio cadere sul duro legno del banco al primo posto. Da qui posso vedere il bell’altare dal quale ogni giorno celebro la messa e sopra di esso vi è un crocifisso. Guardo il suo volto sofferente. E’ stato brutto morire in quella maniera, immagino, ma lo è ancora di più vivere in questa maniera. Prendo la mia dolce compagna di ogni sera e la appoggio alle mie labbra. Bevo un sorso del suo contenuto. Mi voglio inebriare, voglio soprattutto dimenticare. Non ho più la fede da almeno tre mesi, inizio a dubitare che io ce l’abbia mai avuta altrimenti avrei resistito alle prove che il Signore mi  ha mandato. Ho scoperto però che non è necessario avere la fede per essere un buon sacerdote. E’ tutto routine, basta dire e comportarsi sempre alla stessa maniera. Fare finta di averla insomma.
-La mia vita è tutta una stronzata- urlo senza paura di farmi sentire tanto sono sicuro che non verrà nessuno a quest’ora e poi la porta è chiusa. –Non credo più in te! La vita fa troppo schifo e ci sono troppe giustizie perché tu possa esistere!-
Bevo un altro sorso, un altro lungo sorso. Mi volto per un attimo e vedo tre sagome ferme in fondo alla navata. Non riesco a vederli bene in viso perché ci sono solo le luci delle candele accese sull’altare.
-La chiese è chiusa… come avete fatto a entrare se la chiesa è chiusa?- chiedo stupito e un brivido alla nuca mi suggerisce che dovrei iniziare a preoccupare. Se fossero dei bastardi rapinatori, potrei rompere la bottiglia e usarla come arma. Non c’è problema. Loro però sono armati? Le tre sagome avanzano verso di me. Sembrano degli spettri visto che non producono nessun rumore.
-Non credi più in lui? Credi allora in noi- mi dice la figura al centro con una voce femminile.
-In voi?- chiedo e finalmente sono abbastanza vicini da riuscire a vederli bene. Sono una donna nera al centro abbastanza in sovrappeso. Non riesco a notare il seno, credo che sia una settima. Un prete che guarda il seno di una donna? Andate a fanculo! Sono anche io un uomo. Alla sua sinistra c’è un uomo alto e robusto con i capelli neri e lunghi e una folta barba sempre nera gli copre il volto. Non credo di aver mai visto un uomo così alto. Supera di sicuro i due metri e venti. Alla destra della donna infine vi è una ragazzina che mi inquieta parecchio per via del suo sguardo spento. Inoltre è albina.
-Chi siete? E che cosa volete da un umile servo del Signore?- cerco di ricompormi e di fare la mia parte.
-Da servo di Dio crocifisso noi non volere niente- dice l’omone che forse è ritardato o forse non ha ancora imparato bene la nostra lingua.
-Noi vogliamo te, Giovanni- mi dice la donna abbondante.
Per la sorpresa non riesco a trattenere un gemito e a indietreggiare.
-Giovanni non avere paura di noi- cerca di rassicurarmi l’omone
-Chi cazzo siete voi stronzi? E che cazzo volete da me? E come cazzo fate a sapere il mio nome?-
-Io credere che uomini che credono al Crocifisso non dire parolacce!- dice l’uomo mentre scoppia a ridere e la sua risata è veramente bella da sentirsi.
-Soprattutto non le dicono nelle case del loro Signore- constata la donna –Noi siamo tre divinità e questo spiega il motivo per cui conosciamo il tuo nome. Ciò che vogliamo da te, non è ovvio?-
-Quanto cazzo ho bevuto stasera?- guardo la bottiglia che non è nemmeno la metà però –Che merda di scherzo è questo?-
-Nessuno scherzo- è ciò che dice la bambina senza aprire la bocca e il suono della sua frase mi dà un enorme fastidio alle orecchie e genera in me una sensazione di panico. Sento nausea e credo di essere pronto a vomitare.
-Questa è la Verità- aggiunge la donna
-Noi non potere dire cose non vere- conclude l’uomo
Davanti ai miei occhi i vestiti dei tre misteriosi personaggi scompaiono e io posso vederli nel loro reale aspetto, solo la bambina ora tiene il suo viso nascosto dietro una maschera mentre per il resto è completamente nuda. L’omone ha una pelle di lupo sulle spalle e porta una lancia e nient’altro come una statua che raffigura Eracle. Infine la donna non ha nulla che nasconda le sue abbondanze e le sue prosperità. Non riesco a non ammirarla, il mio cuore mi dice che è bellissima anche se non corrisponde ai canoni di bellezza moderna. Mi sento così inutile, insignificante e brutto davanti a loro che non posso fare altro che indietreggiare e poi inginocchiarmi. Grosse lacrime mi solcano il volto. La fede che avevo perso ora è tornata? Sto voltando le spalle al mio Dio e mi sto inginocchiando ad altre divinità che hanno scelto me per manifestarsi e indicare la loro volontà.
-Perché io? Che cosa devo fare?- balbetto.
-Alzati e seguici non sarà nel luogo che appartiene ad un altro Dio, che parleremo con il nostro prescelto- mi porge la mano la donna e io l’afferro.
Butto il mio collare a terra, lascio la bottiglia sul bancone e mi porto con me le mie sigarette. Credo che tutta questa faccenda avrà bisogno di molto fumo per essere digerita. Usciamo e la pioggia inizia a colpirmi da tutte le parti.
-Vado a prendere un paio di ombrelli per coprirci dalla pioggia- poi mi accorgo e ricordo che loro sono completamenti nudi –Dovreste coprirvi o qualcuno chiamerà l’ospedale psichico più vicino-
-Io non capire tua frase ma tu essere divertente- mi dice sempre ridendo l’omone
-Nessuno può vederci a parte te, Giovanni- mi spiega la donna –E poi la pioggia sarà il tuo battesimo.-
-Dove andiamo?- chiedo
-Chi essere noi? Da dove venire noi? Dove andare noi? Sempre solite domande fare voi mortali- mi risponde irritato l’omone.
-Se qualcuno di voi ci rispondesse chiaramente, forse non le faremmo più- rispondo altrettanto offeso.
La bambina ride sotto la maschera e io sento i brividi lungo tutto il corpo. Perché quella ragazzina mi spaventava così tanto? Dopo venti minuti di cammino, usciamo fuori dalla città e arriviamo in una piccola collinetta. Non piove più e la prima cosa che faccio è cacciarmi una sigaretta in bocca e ispirare il fumo nei miei polmoni.
-Questo è il luogo in cui tu avrai le tue risposte… sarà il tuo Monte Sinai…- mi dice la donna.
-Noi essere divinità della preistoria dell’umanità…-
-Divinità dimenticate!- conclude la bambina e stavolta sono costretto a inginocchiarmi e a vomitare davanti ai loro piedi.
-E vogliamo che tu sia il nostro profeta- mi rivela la dea.
-Non credo che Maometto, Mosè o Elia abbiano mai vomitato sui piedi dei loro dei… quali sono i vostri nomi?- chiedo –Devo potervi conoscere per poter professare la vostra religione-
-Io essere il Grande Cacciatore! Uomini venerare me per avere buona preda, disegnare sulle pareti ciò che volere accadere durante la caccia. Io fare loro ottenere.-
-Io sono Ashesah, una delle tante dee della fertilità, forse hai visto in qualche libro di storia uno dei miei simulacri…-
La bambina invece rimane in silenzio, forse ha paura di scatenare di nuovo il mio vomito o causarmi qualche altra reazione.
-Lei è l’ignoto di cui tutti gli uomini hanno paura e che nessuno può conoscere- mi spiega Ashesah
-Perché io e perché avete deciso proprio ora di tornare a manifestarvi?-
-Risposta essere lunga, meglio se essere Ashesah a spiegare-
-Avremmo continuato volentieri a vivere la nostra vita senza interferire in quella degli umani. Il problema è che è sorta una nuova divinità e questa ha iniziato a uccidere tutte le altre. Abbiamo però scoperto che ci riusciva solo con quelle dimenticate o che comunque non avevano più fedeli. Abbiamo bisogno di un profeta, di fedeli e di una religione per poter sopravvivere a questa divinità. Tu solo ci puoi aiutare e salvare.-
-D’accordo ma perché proprio io?- chiedo insistentemente
La bambina mi fa un gesto affinché mi avvicini, lo faccio e lei si toglie la maschera dal viso…

Apro gli occhi e mi ritrovo nel mio letto. Mi sento stravolto e tutto il mio corpo mi fa maledettamente male. Devo aver esagerato troppo ieri sera con l’alcol. Cerco di alzarmi e allora mi ricordo il sogno che ho fatto. Le tre divinità che mi sceglievano come loro profeta. Forse dovrei andare da uno psicologo e farmi controllare. Ai piedi del mio letto ci sono i miei vestiti, sono tutti completamente zuppi di acqua e sporchi di fango. Dove diavolo sono andato e che è successo? Mi ricordo il sogno, la collina e il resto, ma non può essere successo davvero. Era solo uno stupido sogno generato probabilmente dalla mia crisi di fede e quindi dalla mia crisi interiore. Mi guardo allo specchio del mio comò. Faccio veramente schifo. Gli occhi mi cadono sulle foto che tengono là. C’è una foto con i miei compagni di seminario. Quelli si che erano bei tempi. Nessun dubbio e la convinzione di star facendo la cosa giusta. Ora però non lo so più. Poi ne vedo una che non ricordavo di avere ancora. Io e il mio passato vescovo. Quel bastardo figlio di puttana. L’afferro e la spacco per terra. E’ tutta colpa sua, di quello schifoso pedofilo. Volevo denunciarlo ma lui mi ha ricordato il voto di obbedienza. Mi minacciò che mi avrebbe fatto perdere il mio posto e che non sarei stato più un sacerdote. Fui un dannato vigliacco e quello che mi è successo dopo me lo merito tutto. Venni mandato in un’altra diocesi. Conobbi una ragazza che stava male, era una drogata. Volevo aiutarla e me ne innamorai. Fui la sua rovina. Esitavo per via del mio ruolo, non riuscivo a lasciarmi del tutto perché ero egoista. Non volevo perdere il mio collare. Non sapevo se l’amavo o la disprezzavo perché temevo che fosse una tentazione. Lei era in uno stato precario e il mio comportamento la destabilizzò del tutto. Abbandonò la struttura di recupero pur di non vedermi più e non dover soffrire. Tornò a drogarsi e di lei non seppi più nulla. Continuai a fare il prete perché era l’unica cosa che volevo fare e perché credevo intensamente in Gesù e nel suo insegnamento. Le avevo fatto del male, ma stavo aiutando tanti altri e dopo un po’ tornai ad essere felice, fin quando non giunse l’ultimo colpo di grazia. Dovevo celebrare un funerale e scoprii che si trattava di un ragazzo di sedici anni. Era lo stesso di cui il vescovo aveva abusato. Si era suicidato perché aveva confessato tutto ai suoi genitori ma questi erano dei veri cattolici e non gli credettero. Era colpa loro e del vescovo, ma era soprattutto colpa mia. Io sapevo e non avevo fatto nulla. In quel momento però capii un’altra cosa che questo mondo era crudele e che nulla aveva significato. Ero diventato prete per aiutare le persone e invece ne avevo distrutte due. Queste erano le conseguenze nel credere in lui? Se era questo non lo avrei più fatto. Volevo abbandonare il mio ruolo, ma fui troppo codardo e non lo feci. Da quel giorno ad oggi non faccio altro che vestirmi da prete e fare tutto ciò che fa un prete, ma so di non esserlo più. Vado in chiesa presto per poterla aprire ai fedeli mattinieri che hanno bisogno del loro conforto nel loro dio. Nel primo banco trovo il mio collare e la bottiglia. Li prendo e sto per portarli in sacrestia quando vedo qualcuno venire verso l’altare barcollando. Forse è un drogato che si sente male, corro da lui e cerco di sostenerlo. No, non è un drogato. Ha una brutta ferita e perde molto sangue. Lo guardo negli occhi e lo riconosco. Il Grande Cacciatore.
-Tu non avere creduto in noi, tu non avere fatto nulla per noi… tu sempre codardo… la dea avere trovato noi tre… avere cercato di proteggere gli altri ma non essere riuscito… compiere tu il compito che noi avere dato a te… prendere mia lancia e combattere… salvare loro… salvare Ignoto…-
Muore tra le mie braccia e io non posso dire nulla, nessun ma. Vorrei tanto far finta di nulla ma… sono stanco di essere un codardo, stanco di vedere morire la gente perché io ho troppa paura per agire. Prima ero un prete, ora sono un profeta. Afferro la lancia del Grande Cacciatore e la sento vibrare. Mi sta dicendo dove devo andare. La seguo senza alcuna esitazione. Mi fido di lei. Ho fede dopo tanto tempo. Giungo fuori città dove osservo Ashesah combattere con un’altra divinità che indossa un’armatura d’oro, degli occhiali sul volto e tiene in una mano una spada e nell’altra un lume.  Non posso fare altro che vedere questa nuova divinità infilzare da parte a parte la mia amica. Urlo dalla disperazione per non essere giunto in tempo e mi lancio in una corsa sfrenata contro la mia avversaria. Mi paro davanti a Ignoto e stringo forte la lancia fra le mani.
-Giovanni, un passo avanti e uno indietro stai facendo?- mi chiede la divinità che a quanto pare mi conosce.
-Che cosa vuoi dire? Vattene! Io sono il suo profeta e la proteggerò al costo della mia vita!- gli rispondo.
-Stavi venendo verso di me e ora ti allontani per tornare da Lui? Da Loro?- mi chiede delusa.
-Chi sei tu?- gli chiedo
-Io sono Ciò che si vede e si tocca! La ragione! Esiste solo questo mondo. Solo nell’Ignoto, in ciò che non può essere spiegato c’è spazio per la religione! Lascia che io la uccida e prima o poi vincerò anche contro le altre divinità. Aiutami e tu sarai il mio profeta e il mio dogma sarà che non esiste nulla a parte ciò che vedi e che questo mondo non ha nessun significato! Non è forse ciò che credevi fino a ieri notte?-
Credere o non credere era questa la decisione che devo prendere. Essere di nuovo un fedele con la speranza in qualcosa di migliore o un cinico senza illusioni. Mi sposto dalla mia posizione lasciando Ignoto scoperto. Non lo so se ha un’espressione delusa sotto la sua maschera, forse no… infondo sapevano a chi stavano affidando le loro vite. Ad un codardo che aveva preferito non agire. Non era stata colpa di Dio se quel ragazzo si era suicidato, ma di due suoi ministri, di due suoi uomini che non avevano preso la strada giusta che lui aveva indicato. Era facile prendersela con Lui invece di prendermela con me stesso. Io ero il colpevole e il codardo. Dio mi aveva dato la possibilità di salvarlo, ma la paura mi aveva fermato. Stavolta non sarebbe successo. La Ragione si lancia contro Ignoto ma io la colpisco con la mia lancia mentre è ancora in aria. La nuova divinità muore davanti ai miei occhi mentre Ignoto si toglie di nuovo la sua maschera e mi rivela il suo volto. E’ il ragazzo a cui ho voltato le spalle.
-Che cosa succederà adesso?- gli chiedo.
-E chi lo sa? Il futuro è ignoto- mi risponde sorridendo prima di scomparire nel nulla.

giovedì 2 maggio 2013

Aspromonte è…devozione e fede per un grande Santo: San Leo


 
 


Quando la gente sente udire la parola Aspromonte pensa alla mafia, ai banditi e ai briganti ma quest’area è fatta soprattutto di miti, leggende, storia, cultura e tradizioni. Ha dato i natali a molti poeti, scrittori ed eroi ma è soprattutto terra che custodisce una profonda religiosità dove sacro e profano, si mescolano dando vita a momenti unici e di profonda ammirazione.

Questa terra selvaggia e impenetrabile è cosparsa da una miriade di testimonianze religiose che sono riuscite a giungere fin ai giorni  nostri, primi tra tutti sono le tracce lasciate dai monaci eremiti che si ritiravano in luoghi solitari come grotte, foreste e sulle pendici delle colline, che divennero luogo d'alloggio e di preghiera. Quando non potevano adattare grotte naturali, scavavano nella roccia, dove creavano dei rifugi. Questi rifugi naturali, adattati a dimore, furono chiamati "laure". Qui i monaci continuarono a praticare il loro culto. Fondamentali erano tanto il lavoro manuale, che rafforza il corpo, quanto la preghiera, che rinfranca lo spirito, come lo studio della Sacra Scrittura, che illumina la mente.

Questi potevano essere sia di rito greco che latino, anche se spesso vengono erroneamente indicati come “Basiliani” e cioè seguaci di San Basilio Magno di Cesarea tutti i monaci cattolici di rito greco. Dal sec. XVI fino ad epoca recente, infatti, si è creduto in occidente che tutti i monaci cosiddetti "greci", cioè di disciplina bizantina, senza differenza di paese e di lingua, fossero «Basiliani», costituiti in grande ordine, anzi, che quest'ordine fosse l'unico riconosciuto dalla Chiesa impropriamente detta "greca". I monaci orientali, per loro natura, sono monaci di un determinato monastero e non membri di corporazioni più vaste.

Nel 726 l'imperatore bizantino Leone III Isaurico, emanò un editto con il quale ordinava la distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province dell'Impero. Mosaici e affreschi furono distrutti a martellate, le icone fatte a pezzi e gettate nel fuoco; furono eliminate molte opere d'arte e uccisi diversi monaci. Motivo del provvedimento era quello di stroncare il commercio delle immagini e combattere una venerazione considerata superstizione e idolatria. Questa lotta, detta iconoclasta, mise in fuga dall'Oriente migliaia di monaci, che per sfuggire alla persecuzione si rifugiarono nelle estreme regioni meridionali dell'Italia e nel Salento. Intorno all'anno mille popolarono il massiccio, svolgendo un ruolo importantissimo, pare siano stati proprio loro a importare per primi il castagno, pianta che tuttora caratterizza buona parte del paesaggio e da cui si ricavava una farina che sfamava la povera gente del luogo.

Tra tutti un ruolo importante nella religiosità popolare della parte meridionale Apromontana lo svolge San Leo, una vita vissuta fra i monti di Bova e Africo, coperti di neve per alcuni mesi dell'anno, pianori e dirupi immensi. Un paesaggio selvaggio e suggestivo, fra i più duri e inospitali dell'intera regione.

Comunemente chiamato San Leo (ma forse il suo nome potrebbe essere Leone o Leonzo) protettore della città di Bova, Africo e dell’Arcidiocesi Reggio-Bova, questo monaco ha riempito da sempre la vita delle comunità dell’Aspromonte. Controversa e oggetto di disputa sono stati le ipotesi sulla data della nascita e della teoria sui suoi natali, una questione che vede da sempre contrapposti gli abitanti di Bova e Africo, accomunati da una suggestiva fede.

Secondo alcuni San Leo sarebbe nato a Bova dalla famiglia Rosaniti e avrebbe vissuto la sua vita monastica in montagna nel convento dell’Annunziata nei monti intorno ad Africo. Secondo altri sarebbe nato ad Africo all’epoca casale di Bova.

Egli passò gran parte della sua vita ad attenuare le sofferenze della povera gente, conducendo un'esistenza votata al martirio fisico e alla solitudine fra le foreste aspromontane. Ancora oggi nei luoghi della sua vita sorgono edicolette votive, nicchie, chiesette a perenni testimonianze della sua presenza, e della sua importante opera arricchita da un numero imprecisato di miracoli e soprattutto dai racconti popolari.

E per questo che si può notare in modo evidente e commovente tutta la devozione della gente d'Aspromonte, un sentimento infinitamente grande e travolgente.

Bisogna vivere certi momenti per capire come la vita di queste comunità è da sempre legata alla figura di San Leo che riesce a distogliere gli uomini dal tempo che passa inesorabile, alla malignità degli uomini, alla fragilità della vita terrena.

Di fronte alla grandezza di queste figure, nessuna differenza sociale, culturale o geografica, tutti accomunati dagli stessi sentimenti, che appaiono subito evidenti, e sono testimoniati da suppliche, lacrime e preghiere, ma soprattutto dal grande trasporto emotivo che accompagna chiunque giunga su questi monti nei giorni di festa.

A Bova il 26 Aprile si rinnova il tradizionale appuntamento con le “novene” in onore del Santo Protettore San Leo, per nove giorni alle 6 e 30 del mattino, i Bovesi si recano in chiesa per rendere omaggio con la loro devozione a questo grande Santo. La “novena” è particolarmente sentita ed è l'unico evento che riesce a riempire la chiesa, vuota per la maggior parte dell'anno, si viene a creare un'atmosfera di profonda devozione e profondo rispetto verso un Santo che è da sempre il punto di riferimento, aiuto e conforto per tutti coloro che a lui si rivolgono con cuore sincero e a lui si affidano chiedendogli di intercedere presso il Signore per aiutarli nelle difficili prove che il destino riserva loro.

 Il 4 Maggio, il Santo viene esposto sulla "vara" e portato in processione per le vie del paese, accompagnato dalla banda musicale “Città di Bova”costituita nel 1898. Impossibile rimanere insensibili di fronte al busto in argento custodito per tutto l’anno in una cappella nel Santuario a lui dedicato contenente le reliquie del Santo. Un tempo per aprire e prendere l’urna con le reliquie e il busto erano necessarie quattro chiavi: una tenuta dal Vescovo, un’altra tenuta da un Canonico, un’altra ancora dal Sindaco della città e l’ultima dal Rettore del Santuario. Il 5 Maggio, giorno di festa ufficiale,  dopo che il Vescovo, amministra il Sacramento della Cresima il Santo viene portato in spalla su di un'imponente “vara” datata 1858, dono di Mons. Autelitano, bovese, Vescovo di Nusco, in una processione che attraversa il centro storico di Bova, su e giù per suggestivi vicoli e strette viuzze che si inerpicano fino a giungere al Santuario di San Leo.

Qui il busto argenteo e le reliquie rimangono in esposizione e durante queste sere vengono svolte le “ ’rraziuni di Santu Leu” (orazioni in dialetto) che attraggono molta gente, fino al giorno 8 Maggio quando si procederà alla chiusura del Santo nella cappella con una profonda celebrazione rimandando l'appuntamento al prossimo anno.

Giorno 5 maggio gli africesi invece si recano in pellegrinaggio dal paese nuovo posto sulla costa ionica orientale al paese vecchio abbandonato nel 1951 posto tra le inaccessibili montagne, dove si trova la Chiesa dedicata al Santo. Mentre la festa ufficiale si svolge il 12 Maggio.

L'importanza di una figura che rimarrà incessante testimone, custode e protettore di due comunità e della loro storia, protettore di queste montagne incantate e impenetrabili, e di quanti negli anni a venire continueranno a scriverne la storia.

 

Umiltà, preghiera, penitenza, amore per il prossimo, tutto questo: San Leo

Di San Leo non possiamo precisare l’anno di nascita, perché non risulta da nessun documento. Alcuni storici affermano sia nato nel V secolo, altri tra l’XI e il XII secolo.

Da adolescente incominciò ad esercitarsi nelle virtù del digiuno e spesso si privava del suo cibo per darlo ai poveri. I genitori lo vedevano prostrato davanti alle sacre immagini a contemplare per ore e ore.

Sebbene ancora giovane decise di lasciare la famiglia e entrò nella vita monacale ispirata alla regola di San Basilio nel convento dell’Annunziata ad Africo.

In quel tempo Africo era sotto la giurisdizione della Diocesi di Bova e vi era un convento di monaci basiliani. Esso si trovava in mezzo alle foreste di difficile accesso. Oggi esiste la Chiesa dell’Annunziata edificata sui resti della vecchia casa intorno al 1600 intitolata a San Leo. Vi è chi pensa che San Leo sia il fondatore del convento e lo colloca nel V secolo.

Lui sottoponeva il suo corpo a dure penitenze. Una notte i suoi confratelli, non trovandolo nella sua cella, furono mandati a cercarlo e con grande meraviglia lo videro nudo, immerso nelle acque gelide di un laghetto, dove si flagellava e pregava. Riferirono il tutto ai Superiori del convento i quali proibirono che se ne parlasse. E così continuò a sottoporre il suo corpo a dure penitenze per molti anni.

“La preghiera è la corona di tutti i santi: infatti senza di essa non si entra nel Regno dei cieli; non tutti santi sono martiri, non tutti sono vergini, non tutti sono anacoreti e monaci, non tutti poveri, ma tutti salvi per la preghiera”(San Leo  - Storia e fede di Ercole La Cava).

Il suo spirito era marcato dalle piaghe del Signore , infatti preservava la sua cerne dalle debolezze e dai desideri digiunando per buona parte della sua vita, si nutriva di erbe raccolte nella montagna, assaporando l’amarezza della sofferenza così sconfiggeva il demonio fin ad ottenere la grazie da Dio.

San Leo oltre a pregare, studiare, fare penitenza lavora la pece com’era uso fare in quel tempo in mezzo alle foreste dell’Aspromonte. Faceva il “picaro” nella fornace che tutt’oggi è chiamata “la fornace di San Leo” posta nei pressi del lago.

E grazie al suo lavoro che in quegli anni di carestia cercava di sfamare i più poveri, infatti, si raconta,che il primo miracolo di San Leo fu quello di trasformare le “palle di pece” in pane per poter sfamare i bisognosi.

In seguito alla propagazione delle sue opero pensò di evitare tanta acclamazione e rifugiarsi in solitudine in Sicilia.

Abbandonò le tanto fraterne e amate montagne dell’Aspromonte e attraversando lo stretto approda a Messina. Cercò e trovò un villaggio tranquillo dove poter stare in solitudine e contemplare il Signore, di nome Rometta, non lontano da Messina dove vi era anche un lago dove poter continuare a fare penitenza. Visse qui per diversi anni e ancora oggi nei pressi del lago sorge una chiesa a Lui dedicata.

Arrivato il tempo della premiazione per le sue ineguagliabili virtù e di tornare nella casa del Padre decise di fare ritorno nelle tanto amate foreste e fare ritorno nel convento. Giungendo a Reggio Calabria nel rione oggi chiamata appunto San Leo di Pellaro manifestò la sua santità.

Lungo la strada, rimasto senza forze, incontrò un vecchio pastore che portava sulle spalle una fascina di legno. San Leo gli cercò aiuto, ma in un primo momento, il povero vecchio si rifiutò, in seguitò però attirato dai lamenti e dalle suppliche del monaco pose a terra la legna e lo prese sulle spalle. In questo luogo, lungo la strada che da Bova porta ad Africo, dove avvenne l’incontro ancora oggi è visibile un edicoletta dedicata al Santo chiamata “croce di San Leo”.

Con meraviglia man mano che percorreva il sentiero che portava al monastero invece di sentire fatica era come se sulle spalle portasse qualcosa di molto leggero. Ben presto giunsero nei pressi della chiesa e salutato il Santo, il vecchio pastore si accingeva a tornare indietro a prendere la sua fascina di  legna, ma con stupore vide che era già accanto a lui. Il vecchio capì di aver aiutato un Santo e si offrì a fare altri servigi, così San Leo gli chiese di andare dal Priore del convento a chiedere di farsi confessare.

Il Priore infastidito alzò il braccio in atto di disprezzo e disse: << chissà come si chiama questo poveraccio>> e subito s’ accorse che il braccio gli era rimasto paralizzato.

In quell’istante l’anima di San Leo abbandonò il suo corpo e le campane delle chiese suonarono a festa e nel luogo in cui fu ritrovato il corpo giunsero miriade di persone da ogni luogo e gli ammalati ricevettero molti prodigi. In quel luogo fu costruita una cappella che ancor’oggi si può ammirare: “la cupola di San Leo”.

Giunta la voce a Bova della morte e dei miracoli di questo Santo i bovesi raggiunsero il monastero dei frati e chiesero i resti mortali che racchiusi in un’urna furono portati in processione a Bova.

Arrivati a “porticella”(oggi chiamato anche “passo della zzita”) la gente accorse incontro e lo seguirono fin in città e  in seguito fu costruito il santuario.

Nella chiesa attuale risalente al 1606 vi è una cappella dove sono custoditi le reliquie del Santo: cioè le ossa della mano, dei piedi del cranio e altre piccole parti mentre altre si pensa siano nella chiesa di Africo Nuovo.
    
                                                                                              Pasquale Callea

venerdì 29 marzo 2013

Hippolita 6



Nel magazzino.
Hippolita guardava le sue armi e tutto le sembrava così strano. Chi era veramente? Ares le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla.
-Tu sei la reincarnazione di Ippolita, la regina delle amazzoni…- le spiegò il dio
-Io sono Hippolita Strong! Avvocato di successo! Tu mi hai ingannato! Tu hai organizzato tutto questo!- urlò infastidita.
-Tutto eccetto l’attacco da parte di Ade… volevo che scoprissi la tua vera identità…-
-Perché? A me non frega nulla di essere una amazzone… riprenditi queste cose e lasciami tornare alla mia vita…-
-Non puoi…- Ares la fermò –gli dei sono in pericolo. Un folle ci sta uccidendo tutti e solo tu puoi fermarlo!
-Ha trovato Zeus…- lo interruppe Efesto che si stava ancora riprendendo per la battaglia.
-Dobbiamo andare subito da lui…- le urlò Ares, la cui preoccupazione era palese.
In quel momento un figura varcò l’entrata del magazzino, Hippolita nel vederlo pensò che si trattasse di un’altra creatura demoniaca mandata da Ade anche se per metà sembrava un angelo.
-Hermes… che ci fai qui?- chiese stupito Efesto
Il messaggero degli dei entrò barcollando, aveva una ferita vistosa all’addome e non riusciva a rimanere dritto.
-Eracle… ci ha trovati… sono scappato sapendo che vi avrei trovati qui…-
-Eracle…- chiese stupita Hippolita. Quel nome la colpì come un macigno. Un bacio e i suoi occhi mentre lasciava la vita mortale, le sue braccia che la sostenevano…
-Si… il folle!- continuò Ermes
Hippolita allora capitò tutto, si voltò verso Ares e gli puntò contro l’ascia bipenne.
-Tu! Volevi usarmi! Vuoi che io combatta contro di lui? Che lo uccida? O che ci uccidiamo a vicenda?- lo sdegno traspariva dai suoi occhi.
Ermes cadde al suolo ed Efesto corse in suo aiuto.
-E’ folle! Ha ucciso Era, Atena, Poseidone e guarda cosa ha fatto ad Ermes… dobbiamo fermarlo! Dobbiamo salvare Zeus!-
-Ha ucciso Era? Davvero? La dea che ha causato tutte le sue disavventure? Che gli ha fatto uccidere i suoi figli? Che lo ha reso uno schiavo? Che ha provocato una ribellione tra le mie compagne che ha causato la mia morte? Sono stanca di voi dei che giocate con noi mortali! Volevo tornare alla mia vita ma ora capisco meglio la faccenda…-
Il cielo si oscurò e il nubifragio iniziò a cadere dal cielo.
Tutti gli dei capirono che era successa una cosa gravissima. Zeus era morto.
-Troverò Eracle, ma non per fermarlo… vedrò se davvero è un folle e poi insieme agiremo… forse Ares per la prima volta nella tua vita un tuo piano si è rivoltato contro di te… potremmo essere la vostra più grande minaccia noi due… se voi siete i nostri dei, è meglio che gli dei non esistono…-
-Non sai che cosa dici!- urlò Ares
-Non voglio iniziare oggi il massacro… fammi parlare con Eracle prima…-
-No, non posso farlo…-
-Dunque, un altro figlio ucciderà suo padre oggi…-
-Lasciala andare!- urlò Efesto – le armi che le abbiamo dato la rendono invincibile. Moriresti di sicuro! E noi abbiamo bisogno di tutti gli dei per poterli combattere.
Ares era furioso, ma dopo averci pensato decise che l’altro dio aveva ragione.
-Cosi sia… spero che dal vostro colloquio non esca un’alleanza funesta-
Hippolita corse fuori dal magazzino e sotto la pioggia si lanciò in una folle corsa. Intendeva incontrare il suo più grande amore. Era incredibile come un nome, una persona, potevano stravolgere il modo di pensare di un’altra persona. Dopo aver combattuto, l’unica cosa che voleva era tornare alla sua vita normale, fatta di ricchezza e di potere. Un nome e un ricordo però hanno fatto tutto questo. Ricchezza e potere non avevano più valore. Hippolita era tornata Ippolita e voleva solo una cosa, riabbracciare il suo più grande amore.
Nel magazzino il corso di Ermes diventava sempre più inconsistente fino a scomparire nel nulla.
-Che cosa facciamo adesso?- chiese Efesto
-Dobbiamo prepararci alla guerra… - rispose Ares –chiama tutti gli dei rimasti all’appello. Dovremo mettere da parte tutte le nostre divergenze e combattere contro quei due…-
-Sei sicuro? E se decidessero di non combatterci più?-
-Sono uscito sempre vittorioso perché mi sono sempre aspettato lo scenario peggiore…-
In quel momento apparve Ade che salutò i due dei con cordialità.
-Cosa vuoi, lurido bastardo?- urlò Ares
-Ho avuto la mia vendetta contro Zeus… possiamo fermare insieme Eracle…-
-Il tuo alleato…- intervenne Efesto
-Un mio strumento che potrebbe rivelarsi pericoloso anche per me, visto che presto, grazie a voi, scoprirà che l’ho ingannato…-
-Non vuoi il nostro potere?- chiese Ares diffidente
-No… se mi aiuterete dopo a far tornare mia moglie in vita…-
Ares esitò per  qualche secondo e poi porse la mano al suo ex nemico.
-Andiamo… il Monte Olimpo ci aspetta…-

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