giovedì 23 maggio 2013
IL PROFETA
Il
profeta
Come ogni sera, la
chiesa è tutta per me. Il silenzio religioso è interrotto solo dai miei passi.
Mi lascio cadere sul duro legno del banco al primo posto. Da qui posso vedere
il bell’altare dal quale ogni giorno celebro la messa e sopra di esso vi è un
crocifisso. Guardo il suo volto sofferente. E’ stato brutto morire in quella
maniera, immagino, ma lo è ancora di più vivere in questa maniera. Prendo la
mia dolce compagna di ogni sera e la appoggio alle mie labbra. Bevo un sorso
del suo contenuto. Mi voglio inebriare, voglio soprattutto dimenticare. Non ho
più la fede da almeno tre mesi, inizio a dubitare che io ce l’abbia mai avuta
altrimenti avrei resistito alle prove che il Signore mi ha mandato. Ho scoperto però che non è
necessario avere la fede per essere un buon sacerdote. E’ tutto routine, basta
dire e comportarsi sempre alla stessa maniera. Fare finta di averla insomma.
-La mia vita è tutta
una stronzata- urlo senza paura di farmi sentire tanto sono sicuro che non
verrà nessuno a quest’ora e poi la porta è chiusa. –Non credo più in te! La
vita fa troppo schifo e ci sono troppe giustizie perché tu possa esistere!-
Bevo un altro sorso, un
altro lungo sorso. Mi volto per un attimo e vedo tre sagome ferme in fondo alla
navata. Non riesco a vederli bene in viso perché ci sono solo le luci delle
candele accese sull’altare.
-La chiese è chiusa…
come avete fatto a entrare se la chiesa è chiusa?- chiedo stupito e un brivido
alla nuca mi suggerisce che dovrei iniziare a preoccupare. Se fossero dei
bastardi rapinatori, potrei rompere la bottiglia e usarla come arma. Non c’è problema.
Loro però sono armati? Le tre sagome avanzano verso di me. Sembrano degli
spettri visto che non producono nessun rumore.
-Non credi più in lui?
Credi allora in noi- mi dice la figura al centro con una voce femminile.
-In voi?- chiedo e
finalmente sono abbastanza vicini da riuscire a vederli bene. Sono una donna
nera al centro abbastanza in sovrappeso. Non riesco a notare il seno, credo che
sia una settima. Un prete che guarda il seno di una donna? Andate a fanculo!
Sono anche io un uomo. Alla sua sinistra c’è un uomo alto e robusto con i
capelli neri e lunghi e una folta barba sempre nera gli copre il volto. Non
credo di aver mai visto un uomo così alto. Supera di sicuro i due metri e
venti. Alla destra della donna infine vi è una ragazzina che mi inquieta
parecchio per via del suo sguardo spento. Inoltre è albina.
-Chi siete? E che cosa
volete da un umile servo del Signore?- cerco di ricompormi e di fare la mia
parte.
-Da servo di Dio
crocifisso noi non volere niente- dice l’omone che forse è ritardato o forse
non ha ancora imparato bene la nostra lingua.
-Noi vogliamo te,
Giovanni- mi dice la donna abbondante.
Per la sorpresa non
riesco a trattenere un gemito e a indietreggiare.
-Giovanni non avere
paura di noi- cerca di rassicurarmi l’omone
-Chi cazzo siete voi
stronzi? E che cazzo volete da me? E come cazzo fate a sapere il mio nome?-
-Io credere che uomini
che credono al Crocifisso non dire parolacce!- dice l’uomo mentre scoppia a
ridere e la sua risata è veramente bella da sentirsi.
-Soprattutto non le dicono
nelle case del loro Signore- constata la donna –Noi siamo tre divinità e questo
spiega il motivo per cui conosciamo il tuo nome. Ciò che vogliamo da te, non è ovvio?-
-Quanto cazzo ho bevuto
stasera?- guardo la bottiglia che non è nemmeno la metà però –Che merda di
scherzo è questo?-
-Nessuno scherzo- è ciò
che dice la bambina senza aprire la bocca e il suono della sua frase mi dà un
enorme fastidio alle orecchie e genera in me una sensazione di panico. Sento
nausea e credo di essere pronto a vomitare.
-Questa è la Verità-
aggiunge la donna
-Noi non potere dire
cose non vere- conclude l’uomo
Davanti ai miei occhi i
vestiti dei tre misteriosi personaggi scompaiono e io posso vederli nel loro
reale aspetto, solo la bambina ora tiene il suo viso nascosto dietro una
maschera mentre per il resto è completamente nuda. L’omone ha una pelle di lupo
sulle spalle e porta una lancia e nient’altro come una statua che raffigura
Eracle. Infine la donna non ha nulla che nasconda le sue abbondanze e le sue
prosperità. Non riesco a non ammirarla, il mio cuore mi dice che è bellissima
anche se non corrisponde ai canoni di bellezza moderna. Mi sento così inutile,
insignificante e brutto davanti a loro che non posso fare altro che
indietreggiare e poi inginocchiarmi. Grosse lacrime mi solcano il volto. La
fede che avevo perso ora è tornata? Sto voltando le spalle al mio Dio e mi sto
inginocchiando ad altre divinità che hanno scelto me per manifestarsi e
indicare la loro volontà.
-Perché io? Che cosa
devo fare?- balbetto.
-Alzati e seguici non
sarà nel luogo che appartiene ad un altro Dio, che parleremo con il nostro
prescelto- mi porge la mano la donna e io l’afferro.
Butto il mio collare a
terra, lascio la bottiglia sul bancone e mi porto con me le mie sigarette.
Credo che tutta questa faccenda avrà bisogno di molto fumo per essere digerita.
Usciamo e la pioggia inizia a colpirmi da tutte le parti.
-Vado a prendere un
paio di ombrelli per coprirci dalla pioggia- poi mi accorgo e ricordo che loro
sono completamenti nudi –Dovreste coprirvi o qualcuno chiamerà l’ospedale
psichico più vicino-
-Io non capire tua
frase ma tu essere divertente- mi dice sempre ridendo l’omone
-Nessuno può vederci a
parte te, Giovanni- mi spiega la donna –E poi la pioggia sarà il tuo
battesimo.-
-Dove andiamo?- chiedo
-Chi essere noi? Da
dove venire noi? Dove andare noi? Sempre solite domande fare voi mortali- mi
risponde irritato l’omone.
-Se qualcuno di voi ci
rispondesse chiaramente, forse non le faremmo più- rispondo altrettanto offeso.
La bambina ride sotto
la maschera e io sento i brividi lungo tutto il corpo. Perché quella ragazzina
mi spaventava così tanto? Dopo venti minuti di cammino, usciamo fuori dalla
città e arriviamo in una piccola collinetta. Non piove più e la prima cosa che
faccio è cacciarmi una sigaretta in bocca e ispirare il fumo nei miei polmoni.
-Questo è il luogo in
cui tu avrai le tue risposte… sarà il tuo Monte Sinai…- mi dice la donna.
-Noi essere divinità
della preistoria dell’umanità…-
-Divinità dimenticate!-
conclude la bambina e stavolta sono costretto a inginocchiarmi e a vomitare
davanti ai loro piedi.
-E vogliamo che tu sia
il nostro profeta- mi rivela la dea.
-Non credo che Maometto,
Mosè o Elia abbiano mai vomitato sui piedi dei loro dei… quali sono i vostri
nomi?- chiedo –Devo potervi conoscere per poter professare la vostra religione-
-Io essere il Grande
Cacciatore! Uomini venerare me per avere buona preda, disegnare sulle pareti
ciò che volere accadere durante la caccia. Io fare loro ottenere.-
-Io sono Ashesah, una
delle tante dee della fertilità, forse hai visto in qualche libro di storia uno
dei miei simulacri…-
La bambina invece
rimane in silenzio, forse ha paura di scatenare di nuovo il mio vomito o
causarmi qualche altra reazione.
-Lei è l’ignoto di cui
tutti gli uomini hanno paura e che nessuno può conoscere- mi spiega Ashesah
-Perché io e perché
avete deciso proprio ora di tornare a manifestarvi?-
-Risposta essere lunga,
meglio se essere Ashesah a spiegare-
-Avremmo continuato
volentieri a vivere la nostra vita senza interferire in quella degli umani. Il
problema è che è sorta una nuova divinità e questa ha iniziato a uccidere tutte
le altre. Abbiamo però scoperto che ci riusciva solo con quelle dimenticate o
che comunque non avevano più fedeli. Abbiamo bisogno di un profeta, di fedeli e
di una religione per poter sopravvivere a questa divinità. Tu solo ci puoi
aiutare e salvare.-
-D’accordo ma perché
proprio io?- chiedo insistentemente
La bambina mi fa un
gesto affinché mi avvicini, lo faccio e lei si toglie la maschera dal viso…
Apro gli occhi e mi
ritrovo nel mio letto. Mi sento stravolto e tutto il mio corpo mi fa
maledettamente male. Devo aver esagerato troppo ieri sera con l’alcol. Cerco di
alzarmi e allora mi ricordo il sogno che ho fatto. Le tre divinità che mi
sceglievano come loro profeta. Forse dovrei andare da uno psicologo e farmi
controllare. Ai piedi del mio letto ci sono i miei vestiti, sono tutti completamente
zuppi di acqua e sporchi di fango. Dove diavolo sono andato e che è successo?
Mi ricordo il sogno, la collina e il resto, ma non può essere successo davvero.
Era solo uno stupido sogno generato probabilmente dalla mia crisi di fede e
quindi dalla mia crisi interiore. Mi guardo allo specchio del mio comò. Faccio
veramente schifo. Gli occhi mi cadono sulle foto che tengono là. C’è una foto
con i miei compagni di seminario. Quelli si che erano bei tempi. Nessun dubbio
e la convinzione di star facendo la cosa giusta. Ora però non lo so più. Poi ne
vedo una che non ricordavo di avere ancora. Io e il mio passato vescovo. Quel
bastardo figlio di puttana. L’afferro e la spacco per terra. E’ tutta colpa
sua, di quello schifoso pedofilo. Volevo denunciarlo ma lui mi ha ricordato il
voto di obbedienza. Mi minacciò che mi avrebbe fatto perdere il mio posto e che
non sarei stato più un sacerdote. Fui un dannato vigliacco e quello che mi è
successo dopo me lo merito tutto. Venni mandato in un’altra diocesi. Conobbi
una ragazza che stava male, era una drogata. Volevo aiutarla e me ne innamorai.
Fui la sua rovina. Esitavo per via del mio ruolo, non riuscivo a lasciarmi del
tutto perché ero egoista. Non volevo perdere il mio collare. Non sapevo se
l’amavo o la disprezzavo perché temevo che fosse una tentazione. Lei era in uno
stato precario e il mio comportamento la destabilizzò del tutto. Abbandonò la
struttura di recupero pur di non vedermi più e non dover soffrire. Tornò a
drogarsi e di lei non seppi più nulla. Continuai a fare il prete perché era
l’unica cosa che volevo fare e perché credevo intensamente in Gesù e nel suo
insegnamento. Le avevo fatto del male, ma stavo aiutando tanti altri e dopo un
po’ tornai ad essere felice, fin quando non giunse l’ultimo colpo di grazia.
Dovevo celebrare un funerale e scoprii che si trattava di un ragazzo di sedici
anni. Era lo stesso di cui il vescovo aveva abusato. Si era suicidato perché
aveva confessato tutto ai suoi genitori ma questi erano dei veri cattolici e
non gli credettero. Era colpa loro e del vescovo, ma era soprattutto colpa mia.
Io sapevo e non avevo fatto nulla. In quel momento però capii un’altra cosa che
questo mondo era crudele e che nulla aveva significato. Ero diventato prete per
aiutare le persone e invece ne avevo distrutte due. Queste erano le conseguenze
nel credere in lui? Se era questo non lo avrei più fatto. Volevo abbandonare il
mio ruolo, ma fui troppo codardo e non lo feci. Da quel giorno ad oggi non
faccio altro che vestirmi da prete e fare tutto ciò che fa un prete, ma so di
non esserlo più. Vado in chiesa presto per poterla aprire ai fedeli mattinieri
che hanno bisogno del loro conforto nel loro dio. Nel primo banco trovo il mio
collare e la bottiglia. Li prendo e sto per portarli in sacrestia quando vedo
qualcuno venire verso l’altare barcollando. Forse è un drogato che si sente
male, corro da lui e cerco di sostenerlo. No, non è un drogato. Ha una brutta
ferita e perde molto sangue. Lo guardo negli occhi e lo riconosco. Il Grande
Cacciatore.
-Tu non avere creduto
in noi, tu non avere fatto nulla per noi… tu sempre codardo… la dea avere
trovato noi tre… avere cercato di proteggere gli altri ma non essere riuscito…
compiere tu il compito che noi avere dato a te… prendere mia lancia e
combattere… salvare loro… salvare Ignoto…-
Muore tra le mie
braccia e io non posso dire nulla, nessun ma. Vorrei tanto far finta di nulla
ma… sono stanco di essere un codardo, stanco di vedere morire la gente perché
io ho troppa paura per agire. Prima ero un prete, ora sono un profeta. Afferro
la lancia del Grande Cacciatore e la sento vibrare. Mi sta dicendo dove devo
andare. La seguo senza alcuna esitazione. Mi fido di lei. Ho fede dopo tanto
tempo. Giungo fuori città dove osservo Ashesah combattere con un’altra divinità
che indossa un’armatura d’oro, degli occhiali sul volto e tiene in una mano una
spada e nell’altra un lume. Non posso
fare altro che vedere questa nuova divinità infilzare da parte a parte la mia
amica. Urlo dalla disperazione per non essere giunto in tempo e mi lancio in
una corsa sfrenata contro la mia avversaria. Mi paro davanti a Ignoto e stringo
forte la lancia fra le mani.
-Giovanni, un passo
avanti e uno indietro stai facendo?- mi chiede la divinità che a quanto pare mi
conosce.
-Che cosa vuoi dire?
Vattene! Io sono il suo profeta e la proteggerò al costo della mia vita!- gli
rispondo.
-Stavi venendo verso di
me e ora ti allontani per tornare da Lui? Da Loro?- mi chiede delusa.
-Chi sei tu?- gli
chiedo
-Io sono Ciò che si
vede e si tocca! La ragione! Esiste solo questo mondo. Solo nell’Ignoto, in ciò
che non può essere spiegato c’è spazio per la religione! Lascia che io la
uccida e prima o poi vincerò anche contro le altre divinità. Aiutami e tu sarai
il mio profeta e il mio dogma sarà che non esiste nulla a parte ciò che vedi e
che questo mondo non ha nessun significato! Non è forse ciò che credevi fino a
ieri notte?-
Credere o non credere
era questa la decisione che devo prendere. Essere di nuovo un fedele con la
speranza in qualcosa di migliore o un cinico senza illusioni. Mi sposto dalla
mia posizione lasciando Ignoto scoperto. Non lo so se ha un’espressione delusa
sotto la sua maschera, forse no… infondo sapevano a chi stavano affidando le
loro vite. Ad un codardo che aveva preferito non agire. Non era stata colpa di
Dio se quel ragazzo si era suicidato, ma di due suoi ministri, di due suoi
uomini che non avevano preso la strada giusta che lui aveva indicato. Era
facile prendersela con Lui invece di prendermela con me stesso. Io ero il
colpevole e il codardo. Dio mi aveva dato la possibilità di salvarlo, ma la
paura mi aveva fermato. Stavolta non sarebbe successo. La Ragione si lancia
contro Ignoto ma io la colpisco con la mia lancia mentre è ancora in aria. La
nuova divinità muore davanti ai miei occhi mentre Ignoto si toglie di nuovo la
sua maschera e mi rivela il suo volto. E’ il ragazzo a cui ho voltato le
spalle.
-Che cosa succederà
adesso?- gli chiedo.
-E chi lo sa? Il futuro
è ignoto- mi risponde sorridendo prima di scomparire nel nulla.
lunedì 13 maggio 2013
giovedì 9 maggio 2013
giovedì 2 maggio 2013
Aspromonte è…devozione e fede per un grande Santo: San Leo
Quando
la gente sente udire la parola Aspromonte pensa alla mafia, ai banditi e ai
briganti ma quest’area è fatta soprattutto di miti, leggende, storia, cultura e
tradizioni. Ha dato i natali a molti poeti, scrittori ed eroi ma è soprattutto
terra che custodisce una profonda religiosità dove sacro e profano, si
mescolano dando vita a momenti unici e di profonda ammirazione.
Questa
terra selvaggia e impenetrabile è cosparsa da una miriade di testimonianze
religiose che sono riuscite a giungere fin ai giorni nostri, primi tra tutti sono le tracce
lasciate dai monaci eremiti che si ritiravano in luoghi solitari come grotte,
foreste e sulle pendici delle colline, che divennero luogo d'alloggio e di preghiera.
Quando non potevano adattare grotte naturali, scavavano nella roccia, dove
creavano dei rifugi. Questi rifugi naturali, adattati a dimore, furono chiamati
"laure". Qui i monaci continuarono a praticare il loro culto. Fondamentali
erano tanto il lavoro manuale, che rafforza il corpo, quanto la preghiera, che
rinfranca lo spirito, come lo studio della Sacra Scrittura, che illumina
la mente.
Questi
potevano essere sia di rito greco che latino,
anche se spesso vengono erroneamente indicati come “Basiliani” e cioè seguaci
di San Basilio Magno di Cesarea tutti i monaci cattolici di rito greco.
Dal sec. XVI fino ad epoca recente, infatti, si è creduto in occidente che
tutti i monaci cosiddetti "greci", cioè di disciplina bizantina,
senza differenza di paese e di lingua, fossero «Basiliani», costituiti in
grande ordine, anzi, che quest'ordine fosse l'unico riconosciuto dalla Chiesa
impropriamente detta "greca". I monaci orientali, per loro natura,
sono monaci di un determinato monastero e non membri di corporazioni più vaste.
Nel 726 l'imperatore
bizantino Leone III Isaurico, emanò un editto con il quale ordinava la
distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province
dell'Impero. Mosaici e affreschi furono distrutti a martellate, le icone fatte
a pezzi e gettate nel fuoco; furono eliminate molte opere d'arte e uccisi
diversi monaci. Motivo del provvedimento era quello di stroncare il commercio
delle immagini e combattere una venerazione considerata superstizione e
idolatria. Questa lotta, detta iconoclasta,
mise in fuga dall'Oriente migliaia di monaci, che per sfuggire alla
persecuzione si rifugiarono nelle estreme regioni meridionali dell'Italia e nel
Salento. Intorno all'anno mille popolarono il massiccio, svolgendo un ruolo
importantissimo, pare siano stati proprio loro a importare per primi il
castagno, pianta che tuttora caratterizza buona parte del paesaggio e da cui si
ricavava una farina che sfamava la povera gente del luogo.
Tra
tutti un ruolo importante nella religiosità popolare della parte meridionale
Apromontana lo svolge San Leo, una
vita vissuta fra i monti di Bova e Africo, coperti di neve per alcuni mesi
dell'anno, pianori e dirupi immensi. Un paesaggio selvaggio e suggestivo, fra i
più duri e inospitali dell'intera regione.
Comunemente
chiamato San Leo (ma forse il suo
nome potrebbe essere Leone o Leonzo) protettore della città di Bova, Africo e
dell’Arcidiocesi Reggio-Bova, questo monaco ha riempito da sempre la vita delle
comunità dell’Aspromonte. Controversa e oggetto di disputa sono stati le
ipotesi sulla data della nascita e della teoria sui suoi natali, una questione
che vede da sempre contrapposti gli abitanti di Bova e Africo, accomunati da una
suggestiva fede.
Secondo
alcuni San Leo sarebbe nato a Bova
dalla famiglia Rosaniti e avrebbe vissuto la sua vita monastica in montagna nel
convento dell’Annunziata nei monti intorno ad Africo. Secondo altri sarebbe
nato ad Africo all’epoca casale di Bova.
Egli
passò gran parte della sua vita ad attenuare le sofferenze della povera gente,
conducendo un'esistenza votata al martirio fisico e alla solitudine fra le foreste
aspromontane. Ancora oggi nei luoghi della sua vita sorgono edicolette votive,
nicchie, chiesette a perenni testimonianze della sua presenza, e della sua
importante opera arricchita da un numero imprecisato di miracoli e soprattutto
dai racconti popolari.
E
per questo che si può notare in modo evidente e commovente tutta la devozione
della gente d'Aspromonte, un sentimento infinitamente grande e travolgente.
Bisogna
vivere certi momenti per capire come la vita di queste comunità è da sempre legata
alla figura di San Leo che riesce a
distogliere gli uomini dal tempo che passa inesorabile, alla malignità degli
uomini, alla fragilità della vita terrena.
Di
fronte alla grandezza di queste figure, nessuna differenza sociale, culturale o
geografica, tutti accomunati dagli stessi sentimenti, che appaiono subito
evidenti, e sono testimoniati da suppliche, lacrime e preghiere, ma soprattutto
dal grande trasporto emotivo che accompagna chiunque giunga su questi monti nei
giorni di festa.
A
Bova il 26 Aprile si rinnova il
tradizionale appuntamento con le “novene” in onore del Santo Protettore San Leo, per nove giorni alle 6 e 30
del mattino, i Bovesi si recano in chiesa per rendere omaggio con la loro
devozione a questo grande Santo. La “novena” è particolarmente sentita ed è
l'unico evento che riesce a riempire la chiesa, vuota per la maggior parte
dell'anno, si viene a creare un'atmosfera di profonda devozione e profondo
rispetto verso un Santo che è da sempre il punto di riferimento, aiuto e
conforto per tutti coloro che a lui si rivolgono con cuore sincero e a lui si
affidano chiedendogli di intercedere presso il Signore per aiutarli nelle
difficili prove che il destino riserva loro.
Il 4
Maggio, il Santo viene esposto sulla "vara" e portato in
processione per le vie del paese, accompagnato dalla banda musicale “Città di
Bova”costituita nel 1898. Impossibile rimanere insensibili di fronte al busto
in argento custodito per tutto l’anno in una cappella nel Santuario a lui
dedicato contenente le reliquie del Santo. Un tempo per aprire e prendere
l’urna con le reliquie e il busto erano necessarie quattro chiavi: una tenuta
dal Vescovo, un’altra tenuta da un Canonico, un’altra ancora dal Sindaco della
città e l’ultima dal Rettore del Santuario. Il 5 Maggio, giorno di festa ufficiale, dopo che il Vescovo, amministra il Sacramento
della Cresima il Santo viene portato in spalla su di un'imponente “vara” datata
1858, dono di Mons. Autelitano, bovese, Vescovo di Nusco, in una processione
che attraversa il centro storico di Bova, su e giù per suggestivi vicoli e
strette viuzze che si inerpicano fino a giungere al Santuario di San Leo.
Qui
il busto argenteo e le reliquie rimangono in esposizione e durante queste sere
vengono svolte le “ ’rraziuni di Santu Leu” (orazioni in dialetto) che
attraggono molta gente, fino al giorno 8
Maggio quando si procederà alla chiusura del Santo nella cappella con una
profonda celebrazione rimandando l'appuntamento al prossimo anno.
Giorno
5 maggio gli africesi invece si recano in pellegrinaggio dal paese nuovo posto
sulla costa ionica orientale al paese vecchio abbandonato nel 1951 posto tra le
inaccessibili montagne, dove si trova la Chiesa dedicata al Santo. Mentre la
festa ufficiale si svolge il 12 Maggio.
L'importanza
di una figura che rimarrà incessante testimone, custode e protettore di due comunità
e della loro storia, protettore di queste montagne incantate e impenetrabili, e
di quanti negli anni a venire continueranno a scriverne la storia.
Umiltà, preghiera, penitenza,
amore per il prossimo, tutto questo: San Leo
Di
San Leo non possiamo precisare
l’anno di nascita, perché non risulta da nessun documento. Alcuni storici
affermano sia nato nel V secolo, altri tra l’XI e il XII secolo.
Da
adolescente incominciò ad esercitarsi nelle virtù del digiuno e spesso si
privava del suo cibo per darlo ai poveri. I genitori lo vedevano prostrato
davanti alle sacre immagini a contemplare per ore e ore.
Sebbene
ancora giovane decise di lasciare la famiglia e entrò nella vita monacale
ispirata alla regola di San Basilio nel convento dell’Annunziata ad Africo.
In
quel tempo Africo era sotto la giurisdizione della Diocesi di Bova e vi era un
convento di monaci basiliani. Esso si trovava in mezzo alle foreste di
difficile accesso. Oggi esiste la Chiesa dell’Annunziata edificata sui resti
della vecchia casa intorno al 1600 intitolata a San Leo. Vi è chi pensa che San Leo sia il fondatore del convento e
lo colloca nel V secolo.
Lui
sottoponeva il suo corpo a dure penitenze. Una notte i suoi confratelli, non
trovandolo nella sua cella, furono mandati a cercarlo e con grande meraviglia
lo videro nudo, immerso nelle acque gelide di un laghetto, dove si flagellava e
pregava. Riferirono il tutto ai Superiori del convento i quali proibirono che
se ne parlasse. E così continuò a sottoporre il suo corpo a dure penitenze per
molti anni.
“La
preghiera è la corona di tutti i santi: infatti senza di essa non si entra nel
Regno dei cieli; non tutti santi sono martiri, non tutti sono vergini, non
tutti sono anacoreti e monaci, non tutti poveri, ma tutti salvi per la
preghiera”(San Leo - Storia e fede di Ercole La Cava).
Il
suo spirito era marcato dalle piaghe del Signore , infatti preservava la sua
cerne dalle debolezze e dai desideri digiunando per buona parte della sua vita,
si nutriva di erbe raccolte nella montagna, assaporando l’amarezza della
sofferenza così sconfiggeva il demonio fin ad ottenere la grazie da Dio.
San Leo oltre a pregare, studiare, fare
penitenza lavora la pece com’era uso fare in quel tempo in mezzo alle foreste
dell’Aspromonte. Faceva il “picaro” nella fornace che tutt’oggi è chiamata “la fornace di San Leo” posta nei
pressi del lago.
E
grazie al suo lavoro che in quegli anni di carestia cercava di sfamare i più
poveri, infatti, si raconta,che il primo miracolo di San Leo fu quello di trasformare le “palle di pece” in pane per
poter sfamare i bisognosi.
In
seguito alla propagazione delle sue opero pensò di evitare tanta acclamazione e
rifugiarsi in solitudine in Sicilia.
Abbandonò
le tanto fraterne e amate montagne dell’Aspromonte e attraversando lo stretto
approda a Messina. Cercò e trovò un villaggio tranquillo dove poter stare in
solitudine e contemplare il Signore, di nome Rometta, non lontano da Messina
dove vi era anche un lago dove poter continuare a fare penitenza. Visse qui per
diversi anni e ancora oggi nei pressi del lago sorge una chiesa a Lui dedicata.
Arrivato
il tempo della premiazione per le sue ineguagliabili virtù e di tornare nella
casa del Padre decise di fare ritorno nelle tanto amate foreste e fare ritorno
nel convento. Giungendo a Reggio Calabria nel rione oggi chiamata appunto San
Leo di Pellaro manifestò la sua santità.
Lungo
la strada, rimasto senza forze, incontrò un vecchio pastore che portava sulle
spalle una fascina di legno. San Leo
gli cercò aiuto, ma in un primo momento, il povero vecchio si rifiutò, in
seguitò però attirato dai lamenti e dalle suppliche del monaco pose a terra la
legna e lo prese sulle spalle. In questo luogo, lungo la strada che da Bova
porta ad Africo, dove avvenne l’incontro ancora oggi è visibile un edicoletta
dedicata al Santo chiamata “croce di San
Leo”.
Con
meraviglia man mano che percorreva il sentiero che portava al monastero invece
di sentire fatica era come se sulle spalle portasse qualcosa di molto leggero.
Ben presto giunsero nei pressi della chiesa e salutato il Santo, il vecchio
pastore si accingeva a tornare indietro a prendere la sua fascina di legna, ma con stupore vide che era già
accanto a lui. Il vecchio capì di aver aiutato un Santo e si offrì a fare altri
servigi, così San Leo gli chiese di
andare dal Priore del convento a chiedere di farsi confessare.
Il
Priore infastidito alzò il braccio in atto di disprezzo e disse: <<
chissà come si chiama questo poveraccio>> e subito s’ accorse che il
braccio gli era rimasto paralizzato.
In
quell’istante l’anima di San Leo
abbandonò il suo corpo e le campane delle chiese suonarono a festa e nel luogo
in cui fu ritrovato il corpo giunsero miriade di persone da ogni luogo e gli
ammalati ricevettero molti prodigi. In quel luogo fu costruita una cappella che
ancor’oggi si può ammirare: “la cupola
di San Leo”.
Giunta
la voce a Bova della morte e dei miracoli di questo Santo i bovesi raggiunsero
il monastero dei frati e chiesero i resti mortali che racchiusi in un’urna
furono portati in processione a Bova.
Arrivati
a “porticella”(oggi chiamato anche “passo della zzita”) la gente accorse
incontro e lo seguirono fin in città e
in seguito fu costruito il santuario.
Nella
chiesa attuale risalente al 1606 vi è una cappella dove sono custoditi le
reliquie del Santo: cioè le ossa della mano, dei piedi del cranio e altre
piccole parti mentre altre si pensa siano nella chiesa di Africo Nuovo.
Pasquale
Callea
Iscriviti a:
Post (Atom)
Post più popolari
-
Non ho mai creduto che: "Io, x, prendo te y, come mia sposa/o e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella sal...
-
Non bastava la mano piromane a gettare nello sconforto il paese di Roccaforte del Greco...
-
La signora di Ellis Island Fare la recensione di questo libro per me è molto difficile. Non mi reputo degno di parlare di un libro che...
-
La Domenica delle Palme (ingresso di Cristo in Gerusalemme), a Bova (RC), viene celebrato un rito unico e spettacolare, da ...
-
Il libro della vita e della morte di Deborah Harkness Se siete stanchi dei vampiri innamorati (Twilight) o dei maghi orfani, figli ...
-
Il ritorno alla fossa occipitale mediana. Più di un secolo fa, un famosissimo studioso italiano, Cesare Lombroso, il cui nome, secondo ...
-
Esseri che non posso vivere liberi, che per perpetrare la schiavitù trovano sempre un modo. Ora le catene sono invisibili, più infi...