venerdì 27 dicembre 2013

Hippolita 9

Eracle e Hippolita quella sera giacquero insieme per la prima volta, anche se non lo era. I loro corpi si conoscevano anche se non si erano mai toccati. Le loro orecchie sentirono gemetti antichi e nuovi. In quella confusione di percezioni e di esperienze, i ricordi si mescolarono al presente in un calderone esplosivo. Eracle non volle che Hippolita si togliesse la cintura, gli dei potevano decidere di attaccare in qualsiasi momento. Così lei la indosso sopra la sua pelle. La sua prima volta invece il semidio gliela tolse e la posò sopra la sua pelle di leone. Entrambi suoi trofei, uno di guerra e uno di amore. La prima volta fu selvaggio e fu lei a stare di sopra. Lui era il suo strumento di piacere. Stavolta fu più dolce e fu lui a stare di sopra. Entrambi erano lo strumento del piacere dell’altro. Questa sera fu la loro prima volta e non lo fu. Quella  volta Eracle uscì dalla sua tenda quando ebbero finito. Questa volta rimase con lei abbracciati e si addormentarono insieme.

 Non molto lontano da lì ci fu un urlo che squarciò la notte. Hippolita scattò dal letto. Lo fece perché l’urlo era di una bambina e nel suo passato il primo dovere di una regina era proteggere le sue figlie. Eracle dormiva profondamente e lei non sapeva che cosa fare. Fingere di non aver sentito e tornarsene a letto? Fingere di non sapere che lì fuori c’era un mostro? Come aveva fatto dopo aver difeso Joe Still, il pericoloso serial killer di bambini? No, la sua coscienza non glielo permetteva più. Il suo vecchio passato l’aveva resa una donna cinica e spietata, ma il suo antico passato la rendeva un’eroina? Si vestì di fretta, prendendo l’ascia bipenne e l’arco. Chiunque aveva fatto gridare quella bambina, l’avrebbe pagata amaramente.
Il padre aveva sentito la sua bambina urlare, pensava che fosse solo un incubo ma era corso comunque nella sua stanza preoccupato e così anche lui lo aveva visto. Non era un uomo, ma un’ombra con lunghi artigli nelle mani e denti affilati. Stava per colpire sua figlia. Cosa poteva fare? Come poteva combattere contro un’ombra? E davvero lo stava vedendo? Non rimase impalato a pensarci e si lanciò contro. Riuscì ad afferrarlo e insieme sfondarono la finestra e fecero una caduta dal secondo piano. L’ombra si rialzò, non si era fatta nulla. Si avvicinò all’uomo per finirlo, poi avrebbe ucciso la bambina. Le piaceva tanto far urlare le bambine e strapparle la vita.
-Tu stai fermo!- urlò una donna.
L’ombra si voltò e vide la donna per cui era stato assoldato. Doveva ucciderla e in cambio quella trasformazione sarebbe diventata definitiva.
-Miss Strong?- chiese l’ombra.
Hippolita rimase ferma paralizzata. Conosceva quella voce e non poteva credere che quell’essere fosse lui.
-Sa… le devo molto… la mia libertà e adesso questa trasformazione… mi hanno reso un dio grazie a lei e farò di tutto pur di rimanere tale! Per questo a malincuore, dovrò ucciderla!- urlò Joe Still lanciandosi addosso all’amazzone.
Questa rimase ferma per la sorpresa nel ritrovarsi davanti il suo più grande errore nella vita e ne aveva commessi tanti. Gli artigli dell’ombra penetrarono nel suo braccio e la ferirono. Il suo sangue schizzò da tutte le parti. Strinse i denti e giurò che non si sarebbe più distratta e che lo avrebbe fermato una volta per tutte.
-Quante bambine hai ucciso da quando sei libero?- urlò mentre la sua ferita si rimarginava grazie alla cintura.
Joe Still fece finta di pensarci su e di contare con le dita e poi disse tre. Tre bambine ed era tutta colpa sua. Questa notte ne avrebbe uccisa un’altra, se avesse fatto finta di non sentire quell’urlo. Strinse con tutta la sua forza l’ascia bipenne e si lanciò contro il mostro. Lo colpì in pieno e lo tagliò a metà. Le sue due metà però si rigenerarono e così davanti aveva due Joe Still.
-Non puoi ucciderci!- urlarono i due Joe.
Hippolita prese il suo arco e scagliò contemporaneamente due frecce. I due Joe furono infilzati da parte a parte e stavolta caddero a terra e morirono. Ce l’aveva fatta. Era responsabile della morte di tre bambine, ma almeno ne aveva salvata una e aveva rimediato al suo sbaglio. Cadde in ginocchio e scoppiò a piangere. Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Pensava che fosse Eracle, ma così non era. Lo capì quando il tizio iniziò a parlare.
-Sei la responsabile della morte di tre bambine…- disse Apollo –ma se non ti togli la cintura e lasci che io ti uccida, sarai la responsabile di molti più morti. Creerò tanti mostri come il tuo Joe e li sguinzaglierò per questa città. Ogni morto sarà colpa tua. La strage che colpirà questa città sarà colpa tua!-
Hippolita era incredula e balbettò: -La colpa però sarà anche tua.-
-Io sono un dio capriccioso e vendicativo… non è colpa mia se voi mortali scatenate la mia ira. Non conosci forse l’episodio della guerra di Troia e della pestilenza che ho mandato?-
-Non voglio ucciderti… perché rendi la mia vita impossibile?-
-Non mi ucciderai… la vita lo è già di suo. Voi due non siete destinati a stare insieme. Siete troppo potenti e potreste generare un essere ancora più potente che ci può soggiogare tutti. No, voi non potete stare insieme e tu sei quella che può essere uccisa.-
-Vi ucciderà tutti-
-Lo combatteremo e lo sconfiggeremo oppure ti dimenticherà. Lo ha già fatto la prima volta perché non dovrebbe farlo ora?-
Hippolita non era più l’egoista di un tempo, si sentiva responsabile di tutti quelli che avrebbero perso la vita per colpa sua e di Eracle. La sua mano andò alla cintura esitante e stava per togliersela. Apollo lo vide e sorrise trionfante.


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