sabato 20 gennaio 2024

I Piromalli

 

I Piromalli




Dopo la strage di Pasqua, il destino della famiglia Abenavoli fu segnato per sempre e la perdita del feudo scontato. A questo punto però la situazione si complica perché sia Rocco Liberti che Vincenzo Naymo ci dicono che dopo gli Abenavoli il feudo passò a Nicola Lavagna che lo comprò ufficialmente nel 1700 e che lo mantenne oltre il 1720 mentre Don Diego Spanò dei Tre Mulini e anche la pagina wikipedia del comune di Montebello Jonico sostengono che Carlo II d’Asburgo nel 1677 abbiamo riunito il territorio di Fossato e quello di Montebello in un marchesato e donato appunto al marchese Ferdinando Mazzacuva da cui prende il nome la piazza principale di Montebello. 


Sono più propenso a seguire Rocco Liberti e Vincenzo Naymo perché Montebello continuerà ad essere baronia anche successivamente, probabilmente Ferdinando Mazzacuva è riuscito ad acquisire il titolo di marchese, ma non ad acquistare l’intero feudo che rimane quindi in mano a Nicola Lavagna fino al 1728 quando venne acquistato da Paolo Barone. Infine l’ultima famiglia ad acquisire il titolo di baroni di Montebello è quella dei Piromalli di Casalnuovo (l’odierna Cittanova). Il primo barone Piromalli fu Francesco Antonio che lo acquistò per 55.000 ducati nel 1755. Nel mentre l’intera provincia di Reggio e prima ancora Messina erano state sconvolte dalla peste del 1743. Una volta preso possesso del feudo il Piromalli inviò in sua vece don Ettore Fazzari con la funzione di agente generale dello stato insieme a un buon numero di persone provenienti da Casalnuovo. Inoltre si affidò alle famiglie della zona più in vista: Francesco Alatì, Antonio Manti, Giuseppe Mazzacuva e Domenico Mazzacuva, che però venne levato dall’impiego nel 1771. In realtà di questi ultimi sostiene Rocco Liberti il barone non ci si poteva fidare molto, perché spesso compivano delle prepotenze sia a danni dei loro concittadini sia del barone tesso. Il Piromalli non risiedeva stabilmente nel feudo, ma si recava solo in occasione della raccolta della seta e in questa occasione poteva starci per almeno un mese. Sempre Rocco Liberti ci riporta quali erano i suoi diritti:


Il primo jus goduto dal signore di Montebello, così come evidenziato dal Fazzari, consisteva nella prestazione del "servizio personale", della durata di una giornata all'anno, da parte di coloro che non avevano custodia di animali od altra occupazione. Per quell'occasione il barone veniva a concedere ai prestatori d'opera il "pane, il vino, ed il companaggio" e quanto offerto, se già erari non avessero commesso abusi sia in danno dei "giornalieri"' che del Piromalli medesimo, sarebbe riuscito sicuramente più che se si fosse dato loro del denaro. Un secondo diritto era quello di poter allestire "due difese per pascolo delle sue giumente", cioè delle chiusure, l'una in contrada Amantineo, dove si rilevavano le "pietre rosse" e pervenendo insino a Calamaci, l'altra nella foresta di Boschetto, ma la cosa si verificava alternativamente datosi che la semina si faceva ogni due anni. Infatti, nell'anno in cui non vi si provvedeva restavano nel terreno gli "erbaggi", che erano necessari a far nutrire le bestie al pascolo. Nel medesimo anno nel quale ci si impegnava ad erigere la difesa si promulgava un bando, con cui si avvertiva che chiunque fosse andato a pascolare nel terreno soggetto ad essa sarebbe incorso in una multa di 15 carlini e che, se si fosse dato il caso di rinvenirvi animali "Minori" come porci, pecore e capre, si sarebbe proceduto alia loro eliminazione cruenta. Della custodia della difesa erano stati al loro tempo incaricati gli stessi costituti, per cui ne arguiamo che i componenti della squadra erano messi periodicamente anche a guardia delle difese. Alla medesima pena, di cui sopra, erano condannati anche tutti coloro che venivano a danneggiare sia i terreni del barone che quelli degli altri abitatori. Invece, andavano sottoposti alla multa di sei ducati coloro che, a mezzo delle bestie, arrecavano danni ad '"alcuni Corpi Baronali, Feudali, chiusi di siepe e piantati celsi, ed altri alberi fruttiferi, ed ortalizij". Ugualmente ii "jusso di fare il prato" si osservava in modo alterno in due contrade, Mantineo e Pletarà, nelle quali si riscontravano sia terreni appartenenti al barone che a "particolari Bonatenenti forestieri". In essi, nel periodo in cui non si faceva semina, spuntava l'erba sulla, una pianta che toccava all'università custodire fino a maturazione perché solo allora avrebbe potuto essere ripartita. Nel luogo stabilito l'erario provvedeva a circoscrivere quanto bastava per la pastura degli animali del barone, ma succedeva che, come tutti i suoi colleghi, peraltro nominati quasi sempre tra la popolazione residente, commettesse degli abusi sia in pregiudizio del barone che degli altri cittadini. Ma non era tutto. Della parte rimanente, che doveva essere suddivisa tra i paesani, se ne venivano ad impossessare prepotentemente per il loro proprio uso alcune famiglie abituate a esprimere i "Capi del paese", come le due Alati, la Mazzacuva e la Manti, che lasciavano così i "poveri" del tutto "sprovveduti". Gli altri costituti, che confermarono sempre punto per punto quanto dichiarato dal Fazzari, fecero anche i nomi degli erari soverchiatori, in definitiva gli stessi che abbiamo all'inizio elencato e ne addossarono la colpa pure alla protezione accordata loro dal barone, sotto il cui usbergo facevano il proprio comodo. I cittadini prendevano in fitto, con l'estaglio (canone) del quinto del frutto i terreni del feudatario, dei residenti abituali ed anche dei proprietari forestieri, ed alcuni di questi ultimi solevano praticare anche il quarto. Per altro jus "antichissimo", al barone spettava di ricevere da chiunque ogni anno a carnevale avesse effettuato la macellazione di un porco, il dono di un "capicollo", che avrebbe dovuto servire alla "grassa" di sua casa. Ciò discendeva dal fatto che quegli non contrastava la conduzione di tali animali erranti nel territorio della Bagliva ed esenti dalla fida (tassa che si pagava perché venisse consentito l'uso del pascolo). Un tale costume era dato osservarlo anche negli stati limitrofi, specie in quello di Melito. ma qui vigeva anche la consegna del filetto. Comunque, risultava che il barone avesse soddisfatto alla "Bonatenenza" sui beni burgensatici più di quanto era stato stabilito nell'atto di acquisto del feudo. Aggiungevano a tali assertive gli altri costituti ch'essi, bargelli e capi della squadra, esigettero annualmente con tutta regolarità il tributo senza interruzione alcuna e lo portarono puntualmente all'erario. Erano gli stessi cittadini ad avere coscienza di dover ottemperare all'obbligo per un "jusso antico di cui non vi era memoria in contrario".


Infine a Francesco Antonio Piromalli toccò morire nel terremoto che colpì la provincia di Reggio nel 1783 e che portò alla totale distruzione di Caselnuovo. Sul finire del Seicento l’onda lunga del periodo di maggior prosperità calabrese era già da tempo un ricordo ormai lontano. Il Settecento, infatti, fu un saeculm horribile come abbiamo visto: sia per la peste che ha colpito la provincia, sia per i vari terremoti che l’hanno scossa. Con il Sisma del del 1783 a Napoli si rendono conto di non avere la cognizione geografica di quei territori e si pensò di correre ai ripari con la realizzazione di due Atlanti. Con il terremoto venne istituita anche la Cassa Sacra: nata con l’intento di aiutare le popolazioni colpite utilizzando la vendita dei beni ecclesiastici confiscati in realtà accentuò il fenomeno del latifondo.

Don Giacomo sposò nel 1804 Beatrice Capece Piscicelli, 8^ duchessa di Capracotta e dalla loro unione nacque Giuseppe che ereditò il titolo di duca di Capracotta, mentre i figli Giovanni e Giacomo Maria ottennero il permesso di aggiungere al loro cognome quello di Capece Piscicelli. Giacomo Maria Piromalli è stato il più prestigioso barone di Montebello, fu sindaco più volte e a lui si deve la fondazione della borgata Sant’Elia e la chiesa nella stessa zona della chiesa dedicata alla Madonna di Pompei nel 1895.

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