lunedì 18 marzo 2013

Aspromonte e tradizioni: le Palme di Bova






La Domenica delle Palme (ingresso di Cristo in Gerusalemme), a Bova (RC), viene celebrato un rito unico e spettacolare, da qualche anno riscoperto anche dal resto della penisola.

Un momento di collettiva sacralità popolare nel Parco Nazionale dell’Aspromonte che consiste nel portare in processione delle grandi figure femminili costruite con foglie di ulivo intrecciate da mani sapienti, abbellite con fiori freschi, primizie, frutta fresca e nastri di vari colori; si fa a gara a chi addobba con frutta di fuori stagione, prodotta nel proprio podere e sapientemente curata fin a questo periodo,come a d esempio i fichidindia.

Sono conosciute con vari nomi, a seconda delle interpretazioni: “papazze” termine greco-calabro che indica le bambole e nel linguaggio dei pastori indica le capre senza corna; “persephone” volendo alludere ad un collegamento con il mito greco e proporre un suggestivo legame tra presente e passato; “madammi” termine di origine francese che secondo alcune testimonianze veniva usato dai bovesi fin allo scorso secolo; o più semplicemente per i bovesi e soprattutto per i credenti “parmi” termine che in dialetto significa palme.

Da alcuni anni nelle settimane che precedono la Domenica delle Palme viene attivato un laboratorio per la costruzione delle palme che vede le famiglie bovesi direttamente impegnate a dare una mano quanti si sono avvicinati per la prima volta con spirito di collaborazione e voglia di riscoprire le tradizioni.

I contadini, intrecciando con maestria e pazienza, foglie di ulivo intorno ad un asse di canna detta “steddha”, costruiscono delle figure femminili, le cosiddette “parmi”.

Così la mattina della domenica delle Palme i possessori delle palme e non, si radunano  nella splendida Piazza Roma e in processione raggiungono il santuario di San Leo, dove vengono benedette e in seguito portate per le strette e tortuose vie di Bova, in una elegante e gioiosa sfilata di forme e colori fino alla chiesa di Santa Caterina.

Solo fino a qualche decennio fa le Palme venivano realizzate dalle singole famiglie che, spinte in una sorta di competitività, producevano figure sempre più grandi e decorate. Attualmente questo rituale viene svolto insieme da tutta la popolazione, qualificandosi come uno dei più interessanti momenti di aggregazione sociale dell’Area Grecanica.

Alla conclusione delle celebrazioni, le sculture, portate fino alla piazza, sono avvicinate dalla gente ed in parte smembrate delle loro componenti, le “steddhi”, che vengono distribuite tra gli astanti.

Alcuni collocano almeno una “steddha” benedetta su un albero di ogni singolo podere, dove vi rimarrà per tutto l’anno a testimoniare l’intimo rapporto sacro che unisce uomo e creato.

Altri fissano le trecce di ulivo sulla parete della camera da letto, altri sull’anta della cristalliera assieme ad immagini sante e alle foto dei propri familiari.

Infine, c’è chi utilizza le foglie benedette per “sfumicari” (togliere il malocchio) alla casa, compresi i suoi abitanti.
Questa parte del rito si celebra ponendo su una brace, ardente, tre grani di sale più quattro foglioline consacrate disposte a croce.
Si incensano gli ambienti con il fumo che si innalza dalla brace, accompagnato dalla recita della seguente preghiera: “A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, dui occhi ti docchiaru, tri ti sanaru, lu Patri, lu Figghiu, lu Spiritu Santu. Tutti li mali mi vannu a mari e lu beni mi veni ccani. Lu nomu di San Petru e lu nomu di San Pascali, lu mali mi vai a mari lu beni mi veni ccani”.

I ramoscelli benedetti, anche se vecchi di un anno, conservano intatta la loro sacralità, come avviene per qualsiasi altra palma o ulivo benedetto, pertanto per disfarsene la gente non li butta nella spazzatura ma li incenerisce col fuoco.

Per un’intera mattinata il piccolo capoluogo dei Greci di Calabria vede sfilare dame eleganti, dall’aspetto austero ma allo stesso tempo fragile.

L’origine greca del rito

Non conosciamo l’origine del rito che probabilmente risale al culto delle popolazioni preistoriche che usavano evocare la “Madre Terra” con riti propiziatori dei raccolti e della fertilità: in tutta la cultura contadina del Sud Italia, ancora affiorano tracce di simili culti antichissimi.

Ma il rito che si ripete ciclicamente a Bova è speciale perché le figure femminili, ci ricordano il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee dell’agricoltura.

Il mito racconta che Ade, signore dell’oltretomba, invaghitosi della fanciulla Persephone (Kore), la rapì portandola nel suo regno, dove le fu offerto con l’inganno di mangiare un melograno che l’avrebbe costretta a risiedere per sempre in quel luogo. Demetra reagì al rapimento della figlia impedendo la crescita delle messi e scatenando un inverno perenne, intervenne Zeus che mise d’accordo Demetra e Ade e dal momento che la fanciulla aveva mangiato solo sei semi di melograno le fu permesso di ritornare sulla terra per sei mesi l’anno. Fu così che la dea trascorse sei mesi negli inferi e i restanti mesi sulla terra con la madre, portando son sé l’abbondanza della stagione primaverile.

Testimonianza di questi riti sono confermati dal ritrovamento di un reperto nel sito archeologico di Umbro, nel comune di Bova Marina. Si tratta di una piccola statuina in ceramica, databile al V millennio a.C., che in conformità all’estetica neolitica, sembra enfatizzare i caratteri femminili, al fine di collegare la fertilità della donna alla produttività dei campi, elementi fondamentali per la crescita dei primi agricoltori.

Questi ancora poco noti culti preistorici sembrano siano sopravvissuti nel corso dei secoli anche nei rituali pagani dell’antica Grecia, soprattutto nel mito di Demetra e della figlia Persephone, la cui venerazione è stata sia nella polis magno greca di Locri, sia nel sito archeologico di San Salvatore, nei campi di Bova, dove è stato rinvenuto un balsamario in ceramica raffigurante a Kore, databile tra il VI e il V secolo a.C..

Ma più semplicemente è un modo per celebrare tutto il creato, la bellezza della natura e ringraziare Dio per tutto questo, come faceva ad esempio San Francesco d’Assisi.

Il passaggio dall’inverno alla primavera, il ciclo della vita, alla fertilità e alla condizione nubile della donna ma anche il rapporto tra Bova e le campagne circostanti tutti riferimenti alle feste liturgiche del mondo ortodosso bizantino.

Riferimenti che possiamo confermare dal fatto che ci troviamo in Magna Grecia e che a Bova ancora oggi si parla la  “glossa greca”, ricca di vocaboli dorici, nella letteratura bovese sopravvivono figure mitologiche quali le “anaràde” (Nereidi), le ”lamie”, e ancora “Sibille” e Madonne; a Bova è viva la bella usanza di offrire al santo protettore San Leo i germogli di grano votivo, cioè piatti colmi di grano germinato al buio,in una lettera indirizzata ai bovesi, San Luca, vescovo di Bova nel XII secolo, fa riferimento a dei riti che forse si possono leggere come simili a quello tutt’ora praticato, relazione tra le sculture vegetali di Bova con la rappresentazione della Quaresima in area di influenza bizantina (Kyrà Sarakostì) infatti In tutta l’attuale Grecia è raffigurata come una figura femminile spesso come una piccola bambola, in pasta di pane, con sette piedi che fungono da calendario liturgico per ciascuna settimana di digiuno, simile a quelle intagliate dai pastori dell’area greca di Calabria come nella tradizione culinaria, nella cosiddetta “musulupa”, particolare tipo di formaggio a forma di donna prodotto durante la Settimana Santa e consumato la mattina di Pasqua. Ma anche in alcuni dolci dette “ngute”, spesso raffiguranti donne decorate con uova sode, simbolo per eccellenza dell’abbondanza e delle rinascite.

Si può supporre pertanto una stratificazione della tradizione greco bizantina sul preesistente mito.

Tutto ciò ovviamente necessita di ulteriori e più approfondite indagini, ma quello che conta è che questo affascinante rito vada tutelato come patrimonio di Bova e di tutto l’Aspromonte, preservato per le sue implicazioni storico-culturali e, per la sua simbologia, proposto quale emblema del nostro rispetto e legame con la natura.

Quasi del tutto perduta, questa antica tradizione è stata ripresa un paio di anni addietro da alcune famiglie bovesi. Il rito è tuttavia alquanto sentito se il signor Mesiano Giuseppe, emigrato in Lombardia negli anni Cinquanta, realizzò la sua palma in casa e la portò a benedire nel duomo di Milano.

Ogni anno alla festa religiosa seguono gli eventi organizzati dal Comune di Bova:

·        Nel 2009 il rito è stato catalogato, tra i beni Beni Etnoantropologici Immateriali della Regione.

·        Nel 2012 in piazza dei Ferrovieri è stato presentato il mosaico “Sacralità Grecaniche”: omaggio al rito pasquale e ai suoi ancestrali riferimenti mitologici in presenza delle autorità politiche provinciali e regionali,è allietata dalla degustazione di dolci tipici pasquali. Sempre nello stesso anno è stata donata una  Palma a Sonia Ferrari, Presidente del Parco della Sila che ha portato il simbolo dell’Aspromonte Greco nell’ambito degli eventi previsti nella mostra “Il Respiro della Sila”, che inaugurata a Roma, il 12 Aprile, in occasione della Festa di Cibele, presso il Centro Studi Cappella Orsini di Roma. L’emblema della Primavera grecanica, farà da dono a Cibele (un'antica divinità anatolica, venerata come Grande Madre, dea della natura, degli animali e  dei luoghi selvatici) le cui origini mitiche si intrecciano con quelle di Demetra e Persephone.

·        Il 16 Settembre 2012, presso la sala del consiglio comunale di Palmi e condotta dalla presentatrice di Rai International Rossella Diaco le “Palme di Bova”  sono state premiate tra le meraviglie calabresi dal Forum Nazionale dei Giovani.

·        Da qualche anno invece, dall’inaugurazione del Parco Archeologico ArcheoDeri in Bova Marina nel giugno 2010, il Sindaco di Bova,  dona una palma al comune di Bova Marina al fine di esporla nel centro di Documentazione del Parco, dov’è parte integrante di un allestimento museale che pone il bene etnografico a simbolo della minoranza storico linguistica dei Greci di Calabria.

Attraverso iniziative come la Domenica delle Palme si promuove non solo il recupero dell’identità storico culturale della Calabria greca ma anche il recupero architettonico dell’abitato in modo da dissuadere la gente ad abbandonare il borgo e piuttosto aiutarla ad investire per far nascere nuove piccole attività imprenditoriali turistiche e non solo.

 

Pasquale Callea

sabato 16 marzo 2013

Hippolita 5



Il signore oscuro ricevette il potere di Poseidone. Era diventato più potente, ma ancora non bastava. Il folle avrebbe fatto tutto il lavoro per lui. Li avrebbe uccisi tutti e tutto il loro potere sarebbe confluito in lui. Il folle però doveva continuare nel suo massacro. Nessuno doveva fermarlo. Hippolita! Quella donna ricomparsa dal nulla. Doveva sbarazzarsi di lei, ma come fare? Con la cinta addosso era invulnerabile. Nessuno, nemmeno lui poteva ucciderla e se avesse incontrato il folle, lei di sicuro sarebbe riuscita a fermarlo. Doveva escogitare un piano. Doveva rompere l’alleanza fra Ares e la donna. Doveva minare la fiducia che lei riponeva nel dio della guerra. Poi finalmente arrivò la sua soluzione. Hermes il messaggero degli dei, una metà era demoniaca e un’altra angelica, per via della sua doppia natura, ma in realtà lui non apparteneva a nessuno dei due.
-Come sta mio fratello Zeus?- gli chiese il dio degli inferi
-E’ in lutto… ha perso un fratello per colpa tua…-
-No! Per colpa sua! Ora sa che cosa significa perdere le persone che si amano! Sua figlia! Suo fratello! Sua moglie!-
-Sua moglie? Suo fratello?- chiese stupito –credi davvero che soffra per loro. L’unico essere per cui ha affetto mio padre era Atena. Si, lo hai fatto soffrire perché ti ha schernito, perché non ti ha aiutato…-
-Mi serviva il vostro potere… insieme avremmo potuto farcela! Invece lui mi ha costretto a prendermelo con la forza…-
-Cosa pensi di fare ora? Ippolita è tornata e sicuramente Ares la farà incontrare con il folle. Cosa succederà quando i loro occhi si rincontreranno? Hai fallito!- lo schernì Ermes
-Troverò un modo!- urlò furioso Ade che ormai aveva perso il controllo
-No… io ho un modo per aiutarti…-
-Perché lo faresti?-
-Il fatto che quei due si incontrino non vuole dire che lo sterminio degli dei avrà fine e io potrei morire…-
-Allora dovrei farli incontrare…-
-Non credo che ti convenga… il folle quando saprà che lo hai ingannato ce l’avrà con te quanto con gli altri dei…-
-Quale è dunque il tuo piano?-
-Te lo dirò ad una condizione…-
-Quale? Parla messaggero!-
- Dopo la morte di Zeus… tu avrai abbastanza potere per sconfiggere il folle… lo dovrai fare! Poi noi altri dei ti aiuteremo a riportare in vita la tua sposa e tutti insieme torneremo a manifestarci in questo mondo…-
-Non credevo che fossi capace di ordine un simile complotto… che ti ha fatto Zeus?-
-Non ci ha mai amati… e per di più da secoli è una guida troppo debole… sono stanco di fare il postino… voglio tornare ad essere temuto come un tempo!-
-Va bene… le tue condizioni sono accettate e ora esponi il tuo piano…-

Il barbone che un tempo era il più potente fra gli esseri viventi sulla Terra guardava la strada quando all’improvviso sgranò gli occhi dalla sorpresa. Un uomo alto due metri e muscoloso si trovava a una decina di metri di distanza.
-Come sei riuscito a trovarmi?- mormorò il vecchio
-E’ stato facile… sei stato tradito da un altro tuo figlio…-
Allora vide il postino di fianco al folle.
-Hermes?- chiese incredulo e sorpreso
-Mi hai chiesto di sacrificare anche qualche dio pur di entrare tra le grazie di Ade e io l’ho fatto… ora è il momento che io vi lasci soli…-
Il messaggero degli dei scomparve e Zeus rimase impietrito.
-Eracles! Fermati! Ippolita è ancora viva!- urlò Zeus
-Io non sono Eracles…- sbraitò il folle… - io non sono il figlio di Era! Io sono Alceo! Io sono il folle! Ti ucciderò padre e le tue menzogne non ritarderanno la tua morte!-
-Io che cosa ti ho fatto per meritare il tuo odio? Ippolita è viva! L’ho fatta reincarnare! Ade ti ha mentito!-
-Lo so… ed è per questo che ho ucciso tua moglie… l’avevo vista e lei lo sapeva… mi ha minacciato… l’avrebbe uccisa di nuovo se io mi fossi avvicinata a lei!-
Il folle diede un pugno al muro e questo si frantumò in mille pezzi.
-Voi credete che io sia folle! Ma non lo sono! Vi ucciderò tutti e così nessuno potrà ostacolarmi dallo stare con lei! Ah! Odio te perché non l’hai mai fermata! Mi ha torturato in tutti i modi ma tu non hai mai fatto nulla per proteggermi! Dove eri mentre mi rendeva folle e mi faceva uccidere i miei figli! Ora sai che cosa si prova! Ora sai che cosa si prova a sapere di essere il responsabile della morte dei tuoi figli! Ora conosci la vera sofferenza di un padre quando i figli gli vengono strappati via! Mi è dispiaciuto per Atena, ma solo a lei tu volevi bene-
-Perché allora ti sei alleato con Ade? Perché ti fai usare da lui? Perché lo rendi più potente?-
-Perché anche il dio della morte può morire…- rispose il folle ma Zeus non capì. Che risposta era? Forse ormai era folle veramente, non riusciva più a ragionare in maniera razionale.
-E’ tutto padre… hai un’ultima cosa da dire?-
-Mi dispiace figliolo… ma non sarò io a morire oggi!-
Le vesti del barbone iniziarono ad illuminarsi e essere pulite e perfette, la sua barba divenne bianca come le nuvole e la sua schiena si raddrizzò, i suoi muscoli si gonfiarono. Zeus era tornato al suo antico splendore.
-Ecco perché tu sei il padre di tutti gli dei…- esclamò Eracles
Nella mano destra del dio comparvero delle scariche elettriche e le scagliò contro il figlio. Il fulmine lo avrebbe ucciso? Lo colpì in pieno e lo fece urlare. Tutti i passanti videro la scena.
Il fumo saliva dalla pelle del folle, ma questo era ancora vivo e per nulla arrendevole. Prese il suo arco e scagliò una freccia. Essa trapassò il braccio sinistro del re degli dei.
-Come è possibile che tu puoi ucciderci?- chiese Zeus – e noi non possiamo?-
-Per via della mia fede! Io credo di poterti uccidere! Anche tu puoi uccidermi padre, devi solo usare maggior potere ma hai paura nel farlo… hai paura di consumarlo e di perdere la tua immortalità… la perderai comunque…-
-Hai ragione- sorrise Zeus che decise di usare tutto il suo enorme potenziale. Lanciò un altro fulmine ma stavolta Eracle lo deviò con la sua clava. Quindi si scagliò contro il padre. Fece un balzo di dieci metri e lo colpì con la sua clava. Il re degli dei però riuscì a pararlo e a lanciar via l’arma del figlio. I due così iniziarono ad affrontarsi in un corpo a corpo. Il rumore dei loro colpi erano potenti come i tuoni e generavano scintille. Nessuno tra i passanti aveva visto un duello simile. Eracle afferrò Zeus stringendo le mani dietro il dorso dell’avversario e alzandolo da terra. La sua presa si faceva sempre più forte e il padre sentiva le vertebre scricchiolare e poi spezzarsi. Lanciò un urlo al cielo spaventoso che fece tremare l’aria e tutta la terra. Il cielo si oscurò e dopo qualche secondo Zeus smise di respirare… il re degli dei era stato ucciso.

sabato 2 marzo 2013

Hippolita 4



Con lo scudo Hippolita allontanava le creature demoniache per qualche secondo, ma poi ritornavano alla carica.
-Usa le altre armi!- gli urlò Efesto che era impegnato a tenere a bada Cerbero.
La donna vide l’ascia bipenne e altri ricordi le affiorarono nella mente. Ricordi che appartenevano ad una sua vita passata.
La regina giunse una mattina e la svegliò.
-Lo scudo ti ha sempre tenuto compagnia. Sarà un tuo leale compagno. Ora però è il momento che impari a combattere e a uccidere. Ti senti pronta?-
La ragazzina fece di si con la testa ma la regina ribatte: -Certo che non lo sei, nessuno è pronto a prendersi la vita degli altri… la prima vita che prendi non si scorda mai e sarà per questo una tua sorella…-
Le porse l’ascia bipenne e la portò fuori dalla tenda. Tutte le sorelle erano riunite nella piazza. C’erano dieci donne incatenate ad un ceppo.
-Loro hanno commesso dei gravi crimini contro le loro stesse sorelle ed è per questo che pagheranno con la vita… Ippolita questa è la vostra prova. Chi non sarà abbastanza forte da uccidere, non sarà una guerriera.-
Prese l’ascia e avanzò verso il ceppo. Guardò negli occhi la sorella che avrebbe dovuto uccidere. La conosceva. Le conosceva tutte. Alcune sue coetanee abbandonarono la prova. Una invece aveva già compiuto la sua missione senza alcuna esitazione. Lei alzò l’ascia in cielo e li la lasciò per un paio di secondi. Iniziò a piangere. Qualcuno pensò che forse non ce l’avrebbe fatta. Sussurrò un mi dispiace e poi calò lascia. Non dimenticò più gli occhi della sua vittima. L’accompagnarono per tutta la vita. Riprendere quell’ascia voleva dire rivederli di nuovo? Era meglio non farlo? Nel suo cuore la risposta fu un’altra. Quel giorno infatti oltre che dispiacersi capì una cosa. Lei era fatta per essere una guerriera, per combattere. Prese l’ascia e colpì un demone. Con lo scudo e l’ascia bipenne era inarrestabile, ma le creature demoniache che faceva a pezzi si ricomponevano.
-Loro non si stancano e voi?- chiese Ade compiaciuto
-Usa l’arco- urlò Efesto
Hippolita guardò l’arma, ma esito di nuovo prima di usarla. Altri ricordi arrivarono. Aveva compiuto diciotto anni. Era la migliore combattente della tribù insieme alla coetanea che non aveva avuto nessuna esitazione a uccidere nella loro prova. Si chiamava Elenia. Giunse la regina e diede un arco ciascuno alle due ragazze.
-Siete pronte per diventare delle vere amazzoni- disse loro la regina. Quel giorno fu il più doloroso della sua vita. Le fu fatta un incisione alla mammella per permetterle di usare meglio l’arma. Prendere quell’arco voleva dire soffrire ancora? Voleva dire tornare ad essere un’amazzone? Voleva dire che non poteva più essere Hippolita ma diventare per sempre Ippolita? Un demone la sfiorò per poco, lei si buttò di lato e istintivamente prese l’arco e lo tese. Non c’era nessuna freccia eppure questa comparve nel corpo della creatura demoniaca che cadde a terra e non si rialzò più. Ade strinse i pugni dalla rabbia. La vittoria per lui era impossibile o forse no? Doveva pensarci lui stesso. Guardò le sue creature e queste capirono. Si avventarono contro i due dei così che Ippolita e lui si potessero affrontare senza interferenze.
-Oggi morirai per mano di un dio!- le urlò contro Ade
Hippolita scagliò una freccia ma questa non lo colpì.
-Le tue armi non mi possono fare niente, mentre le mie a te si!- sorrise Ade e nella sua mano destra comparve una spada.
-La cinta ti renderà invulnerabile! Indossala!- urlò Efesto.
La donna guardò l’ultimo dono del dio fabbro e un ultimo ricordo le venne in mente. Un uomo. Il suo amato che gliela toglieva di dosso e ancora quello stesso uomo che la teneva fra le sue braccia mentre lei spirava. Se la mise immediatamente e si lanciò contro Ade. I due combatterono per almeno dieci minuti, poi il dio capì che non avrebbe potuto vincere e quindi decise di non consumare inutilmente il suo potere.
-Troverò un modo per eliminarti- disse mentre scompariva nel nulla.
Nel magazzino erano rimasti solo loro tre, Hippolita guardò i due dei e poi esclamò: Io sono Ippolita, io sono la regina delle amazzoni-
Ares sorrise soddisfatto. Finalmente la loro situazione si faceva meno disperata forse.

Nell’acquario della città era scoppiato il caos. Il folle afferrava persone e urlava. Voleva Poseidone! Distruggeva ogni cosa che gli capitava davanti, soprattutto colpiva le gabbie dove c’erano i pesci.
-Non vieni a proteggere i tuoi cari?- urlava.
Qualche guardia cercò di fermarlo ed ebbe la peggio in questa disputa tra dei. Poi il folle vide un uomo che aveva una scopa, era l’addetto alle pulizie.
-Poseidone!- urlò
La scopa divenne un tridente e l’addetto delle pulizie divenne un uomo imponente alto due metri, con dei muscoli incredibili e soprattutto una barba lunghissima.
-Nipote, che cosa vuoi da me?-
-Il tuo potere!- urlò il dio folle.
-Un tempo ispiravi le persone, i mortali, eri il loro campione, il loro difensore. Ora per avere la tua vendetta su tutti noi, non hai nessun problema a calpestarli con indifferenza!-
Il folle ovviamente non perse tempo ad ascoltarlo. La follia in cui lo aveva condannato di nuovo la sua matrigna, era di liberarlo dalla sua morale e di non trattenere la sua forza davanti a niente e nessuno. Si lanciò contro il dio e lo colpì con un pugno. Poseidone finì contro il vetro di una vasca distruggendolo.
-Basta!- urlò il dio e lanciò il suo tridente. Il folle lo schifò e si avventò contro il dio. I due avversari si colpirono per almeno dieci minuti con i loro immortali pugni. Poi il dio del mare iniziò a indebolirsi mentre la pazzia e la forza del folle non facevano altro che accrescere. Con un pugno in pieno volto lo fece barcollare e con un gancio lo mandò al tappetto. Poi gli si avventò addosso e cominciò a colpirlo senza alcuna pietà, senza alcuna remora. Il dio del mare stava per abbandonare la vita, poi però riaprì gli occhi. La fede in lui nel mondo ancora c’era. Sembrava superstizione, ma c’era. Questo lo rendeva il secondo dio più potente dopo Ade. Scaraventò lontano il folle e si sostenne con il suo tridente.
-Questa follia finirà ora!- disse con tono imperioso il dio. Il folle si rialzò e sorrideva. Si divertiva a combattere, soprattutto se il suo avversario gli teneva testa. Non c’era gusto in una vittoria troppo facile.
I due ricominciarono il duello. Poseidone riuscì a colpire più volte con il tridente il suo avversario e gli infilzò la gamba.
-Il fatto che tu non sei un vero dio, ti rende capace di ucciderci ma allo stesso tempo rende noi capaci della stessa cosa- disse affaticato Poseidone sicuro di poter ottenere la vittoria –Ritorna in te… non mi costringere a…-
Come risposta ricevette un gancio. Il folle era ferito ma non intendeva arrendersi. Avrebbe combattuto fino alla fine. I due continuarono a fronteggiarsi per altri cinque minuti, poi Poseidone sentì la stanchezza sovrastarlo. Il folle invece sembrava inesauribile. Come era possibile?
-Come è possibile? La follia ti dà cosi tanto potere? Dovremmo diventare tutti folli per tornare ai nostri fasti?-
Il folle gli afferrò la testa con le sue due grandi mani e il dio non  riuscì a impedirglielo o a liberarsi dalla presa mortale. Iniziò a fare pressione e prima che gli schiacciasse la testa come se fosse una nocciolina, il folle gli mormorò una cosa: Amore!

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