sabato 2 marzo 2013

Hippolita 4



Con lo scudo Hippolita allontanava le creature demoniache per qualche secondo, ma poi ritornavano alla carica.
-Usa le altre armi!- gli urlò Efesto che era impegnato a tenere a bada Cerbero.
La donna vide l’ascia bipenne e altri ricordi le affiorarono nella mente. Ricordi che appartenevano ad una sua vita passata.
La regina giunse una mattina e la svegliò.
-Lo scudo ti ha sempre tenuto compagnia. Sarà un tuo leale compagno. Ora però è il momento che impari a combattere e a uccidere. Ti senti pronta?-
La ragazzina fece di si con la testa ma la regina ribatte: -Certo che non lo sei, nessuno è pronto a prendersi la vita degli altri… la prima vita che prendi non si scorda mai e sarà per questo una tua sorella…-
Le porse l’ascia bipenne e la portò fuori dalla tenda. Tutte le sorelle erano riunite nella piazza. C’erano dieci donne incatenate ad un ceppo.
-Loro hanno commesso dei gravi crimini contro le loro stesse sorelle ed è per questo che pagheranno con la vita… Ippolita questa è la vostra prova. Chi non sarà abbastanza forte da uccidere, non sarà una guerriera.-
Prese l’ascia e avanzò verso il ceppo. Guardò negli occhi la sorella che avrebbe dovuto uccidere. La conosceva. Le conosceva tutte. Alcune sue coetanee abbandonarono la prova. Una invece aveva già compiuto la sua missione senza alcuna esitazione. Lei alzò l’ascia in cielo e li la lasciò per un paio di secondi. Iniziò a piangere. Qualcuno pensò che forse non ce l’avrebbe fatta. Sussurrò un mi dispiace e poi calò lascia. Non dimenticò più gli occhi della sua vittima. L’accompagnarono per tutta la vita. Riprendere quell’ascia voleva dire rivederli di nuovo? Era meglio non farlo? Nel suo cuore la risposta fu un’altra. Quel giorno infatti oltre che dispiacersi capì una cosa. Lei era fatta per essere una guerriera, per combattere. Prese l’ascia e colpì un demone. Con lo scudo e l’ascia bipenne era inarrestabile, ma le creature demoniache che faceva a pezzi si ricomponevano.
-Loro non si stancano e voi?- chiese Ade compiaciuto
-Usa l’arco- urlò Efesto
Hippolita guardò l’arma, ma esito di nuovo prima di usarla. Altri ricordi arrivarono. Aveva compiuto diciotto anni. Era la migliore combattente della tribù insieme alla coetanea che non aveva avuto nessuna esitazione a uccidere nella loro prova. Si chiamava Elenia. Giunse la regina e diede un arco ciascuno alle due ragazze.
-Siete pronte per diventare delle vere amazzoni- disse loro la regina. Quel giorno fu il più doloroso della sua vita. Le fu fatta un incisione alla mammella per permetterle di usare meglio l’arma. Prendere quell’arco voleva dire soffrire ancora? Voleva dire tornare ad essere un’amazzone? Voleva dire che non poteva più essere Hippolita ma diventare per sempre Ippolita? Un demone la sfiorò per poco, lei si buttò di lato e istintivamente prese l’arco e lo tese. Non c’era nessuna freccia eppure questa comparve nel corpo della creatura demoniaca che cadde a terra e non si rialzò più. Ade strinse i pugni dalla rabbia. La vittoria per lui era impossibile o forse no? Doveva pensarci lui stesso. Guardò le sue creature e queste capirono. Si avventarono contro i due dei così che Ippolita e lui si potessero affrontare senza interferenze.
-Oggi morirai per mano di un dio!- le urlò contro Ade
Hippolita scagliò una freccia ma questa non lo colpì.
-Le tue armi non mi possono fare niente, mentre le mie a te si!- sorrise Ade e nella sua mano destra comparve una spada.
-La cinta ti renderà invulnerabile! Indossala!- urlò Efesto.
La donna guardò l’ultimo dono del dio fabbro e un ultimo ricordo le venne in mente. Un uomo. Il suo amato che gliela toglieva di dosso e ancora quello stesso uomo che la teneva fra le sue braccia mentre lei spirava. Se la mise immediatamente e si lanciò contro Ade. I due combatterono per almeno dieci minuti, poi il dio capì che non avrebbe potuto vincere e quindi decise di non consumare inutilmente il suo potere.
-Troverò un modo per eliminarti- disse mentre scompariva nel nulla.
Nel magazzino erano rimasti solo loro tre, Hippolita guardò i due dei e poi esclamò: Io sono Ippolita, io sono la regina delle amazzoni-
Ares sorrise soddisfatto. Finalmente la loro situazione si faceva meno disperata forse.

Nell’acquario della città era scoppiato il caos. Il folle afferrava persone e urlava. Voleva Poseidone! Distruggeva ogni cosa che gli capitava davanti, soprattutto colpiva le gabbie dove c’erano i pesci.
-Non vieni a proteggere i tuoi cari?- urlava.
Qualche guardia cercò di fermarlo ed ebbe la peggio in questa disputa tra dei. Poi il folle vide un uomo che aveva una scopa, era l’addetto alle pulizie.
-Poseidone!- urlò
La scopa divenne un tridente e l’addetto delle pulizie divenne un uomo imponente alto due metri, con dei muscoli incredibili e soprattutto una barba lunghissima.
-Nipote, che cosa vuoi da me?-
-Il tuo potere!- urlò il dio folle.
-Un tempo ispiravi le persone, i mortali, eri il loro campione, il loro difensore. Ora per avere la tua vendetta su tutti noi, non hai nessun problema a calpestarli con indifferenza!-
Il folle ovviamente non perse tempo ad ascoltarlo. La follia in cui lo aveva condannato di nuovo la sua matrigna, era di liberarlo dalla sua morale e di non trattenere la sua forza davanti a niente e nessuno. Si lanciò contro il dio e lo colpì con un pugno. Poseidone finì contro il vetro di una vasca distruggendolo.
-Basta!- urlò il dio e lanciò il suo tridente. Il folle lo schifò e si avventò contro il dio. I due avversari si colpirono per almeno dieci minuti con i loro immortali pugni. Poi il dio del mare iniziò a indebolirsi mentre la pazzia e la forza del folle non facevano altro che accrescere. Con un pugno in pieno volto lo fece barcollare e con un gancio lo mandò al tappetto. Poi gli si avventò addosso e cominciò a colpirlo senza alcuna pietà, senza alcuna remora. Il dio del mare stava per abbandonare la vita, poi però riaprì gli occhi. La fede in lui nel mondo ancora c’era. Sembrava superstizione, ma c’era. Questo lo rendeva il secondo dio più potente dopo Ade. Scaraventò lontano il folle e si sostenne con il suo tridente.
-Questa follia finirà ora!- disse con tono imperioso il dio. Il folle si rialzò e sorrideva. Si divertiva a combattere, soprattutto se il suo avversario gli teneva testa. Non c’era gusto in una vittoria troppo facile.
I due ricominciarono il duello. Poseidone riuscì a colpire più volte con il tridente il suo avversario e gli infilzò la gamba.
-Il fatto che tu non sei un vero dio, ti rende capace di ucciderci ma allo stesso tempo rende noi capaci della stessa cosa- disse affaticato Poseidone sicuro di poter ottenere la vittoria –Ritorna in te… non mi costringere a…-
Come risposta ricevette un gancio. Il folle era ferito ma non intendeva arrendersi. Avrebbe combattuto fino alla fine. I due continuarono a fronteggiarsi per altri cinque minuti, poi Poseidone sentì la stanchezza sovrastarlo. Il folle invece sembrava inesauribile. Come era possibile?
-Come è possibile? La follia ti dà cosi tanto potere? Dovremmo diventare tutti folli per tornare ai nostri fasti?-
Il folle gli afferrò la testa con le sue due grandi mani e il dio non  riuscì a impedirglielo o a liberarsi dalla presa mortale. Iniziò a fare pressione e prima che gli schiacciasse la testa come se fosse una nocciolina, il folle gli mormorò una cosa: Amore!

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