Con lo scudo Hippolita allontanava le creature demoniache
per qualche secondo, ma poi ritornavano alla carica.
-Usa le altre armi!- gli urlò Efesto che era impegnato a
tenere a bada Cerbero.
La donna vide l’ascia bipenne e altri ricordi le affiorarono
nella mente. Ricordi che appartenevano ad una sua vita passata.
La regina giunse una mattina e la svegliò.
-Lo scudo ti ha sempre tenuto compagnia. Sarà un tuo leale
compagno. Ora però è il momento che impari a combattere e a uccidere. Ti senti
pronta?-
La ragazzina fece di si con la testa ma la regina ribatte:
-Certo che non lo sei, nessuno è pronto a prendersi la vita degli altri… la
prima vita che prendi non si scorda mai e sarà per questo una tua sorella…-
Le porse l’ascia bipenne e la portò fuori dalla tenda. Tutte
le sorelle erano riunite nella piazza. C’erano dieci donne incatenate ad un
ceppo.
-Loro hanno commesso dei gravi crimini contro le loro stesse
sorelle ed è per questo che pagheranno con la vita… Ippolita questa è la vostra
prova. Chi non sarà abbastanza forte da uccidere, non sarà una guerriera.-
Prese l’ascia e avanzò verso il ceppo. Guardò negli occhi la
sorella che avrebbe dovuto uccidere. La conosceva. Le conosceva tutte. Alcune
sue coetanee abbandonarono la prova. Una invece aveva già compiuto la sua
missione senza alcuna esitazione. Lei alzò l’ascia in cielo e li la lasciò per
un paio di secondi. Iniziò a piangere. Qualcuno pensò che forse non ce
l’avrebbe fatta. Sussurrò un mi dispiace e poi calò lascia. Non dimenticò più
gli occhi della sua vittima. L’accompagnarono per tutta la vita. Riprendere
quell’ascia voleva dire rivederli di nuovo? Era meglio non farlo? Nel suo cuore
la risposta fu un’altra. Quel giorno infatti oltre che dispiacersi capì una
cosa. Lei era fatta per essere una guerriera, per combattere. Prese l’ascia e
colpì un demone. Con lo scudo e l’ascia bipenne era inarrestabile, ma le
creature demoniache che faceva a pezzi si ricomponevano.
-Loro non si stancano e voi?- chiese Ade compiaciuto
-Usa l’arco- urlò Efesto
Hippolita guardò l’arma, ma esito di nuovo prima di usarla.
Altri ricordi arrivarono. Aveva compiuto diciotto anni. Era la migliore
combattente della tribù insieme alla coetanea che non aveva avuto nessuna
esitazione a uccidere nella loro prova. Si chiamava Elenia. Giunse la regina e
diede un arco ciascuno alle due ragazze.
-Siete pronte per diventare delle vere amazzoni- disse loro
la regina. Quel giorno fu il più doloroso della sua vita. Le fu fatta un
incisione alla mammella per permetterle di usare meglio l’arma. Prendere
quell’arco voleva dire soffrire ancora? Voleva dire tornare ad essere
un’amazzone? Voleva dire che non poteva più essere Hippolita ma diventare per
sempre Ippolita? Un demone la sfiorò per poco, lei si buttò di lato e
istintivamente prese l’arco e lo tese. Non c’era nessuna freccia eppure questa
comparve nel corpo della creatura demoniaca che cadde a terra e non si rialzò
più. Ade strinse i pugni dalla rabbia. La vittoria per lui era impossibile o
forse no? Doveva pensarci lui stesso. Guardò le sue creature e queste capirono.
Si avventarono contro i due dei così che Ippolita e lui si potessero affrontare
senza interferenze.
-Oggi morirai per mano di un dio!- le urlò contro Ade
Hippolita scagliò una freccia ma questa non lo colpì.
-Le tue armi non mi possono fare niente, mentre le mie a te
si!- sorrise Ade e nella sua mano destra comparve una spada.
-La cinta ti renderà invulnerabile! Indossala!- urlò Efesto.
La donna guardò l’ultimo dono del dio fabbro e un ultimo
ricordo le venne in mente. Un uomo. Il suo amato che gliela toglieva di dosso e
ancora quello stesso uomo che la teneva fra le sue braccia mentre lei spirava.
Se la mise immediatamente e si lanciò contro Ade. I due combatterono per almeno
dieci minuti, poi il dio capì che non avrebbe potuto vincere e quindi decise di
non consumare inutilmente il suo potere.
-Troverò un modo per eliminarti- disse mentre scompariva nel
nulla.
Nel magazzino erano rimasti solo loro tre, Hippolita guardò
i due dei e poi esclamò: Io sono Ippolita, io sono la regina delle amazzoni-
Ares sorrise soddisfatto. Finalmente la loro situazione si
faceva meno disperata forse.
Nell’acquario della città era scoppiato il caos. Il folle
afferrava persone e urlava. Voleva Poseidone! Distruggeva ogni cosa che gli
capitava davanti, soprattutto colpiva le gabbie dove c’erano i pesci.
-Non vieni a proteggere i tuoi cari?- urlava.
Qualche guardia cercò di fermarlo ed ebbe la peggio in
questa disputa tra dei. Poi il folle vide un uomo che aveva una scopa, era
l’addetto alle pulizie.
-Poseidone!- urlò
La scopa divenne un tridente e l’addetto delle pulizie
divenne un uomo imponente alto due metri, con dei muscoli incredibili e
soprattutto una barba lunghissima.
-Nipote, che cosa vuoi da me?-
-Il tuo potere!- urlò il dio folle.
-Un tempo ispiravi le persone, i mortali, eri il loro
campione, il loro difensore. Ora per avere la tua vendetta su tutti noi, non
hai nessun problema a calpestarli con indifferenza!-
Il folle ovviamente non perse tempo ad ascoltarlo. La follia
in cui lo aveva condannato di nuovo la sua matrigna, era di liberarlo dalla sua
morale e di non trattenere la sua forza davanti a niente e nessuno. Si lanciò
contro il dio e lo colpì con un pugno. Poseidone finì contro il vetro di una
vasca distruggendolo.
-Basta!- urlò il dio e lanciò il suo tridente. Il folle lo
schifò e si avventò contro il dio. I due avversari si colpirono per almeno
dieci minuti con i loro immortali pugni. Poi il dio del mare iniziò a
indebolirsi mentre la pazzia e la forza del folle non facevano altro che
accrescere. Con un pugno in pieno volto lo fece barcollare e con un gancio lo
mandò al tappetto. Poi gli si avventò addosso e cominciò a colpirlo senza
alcuna pietà, senza alcuna remora. Il dio del mare stava per abbandonare la
vita, poi però riaprì gli occhi. La fede in lui nel mondo ancora c’era.
Sembrava superstizione, ma c’era. Questo lo rendeva il secondo dio più potente
dopo Ade. Scaraventò lontano il folle e si sostenne con il suo tridente.
-Questa follia finirà ora!- disse con tono imperioso il dio.
Il folle si rialzò e sorrideva. Si divertiva a combattere, soprattutto se il
suo avversario gli teneva testa. Non c’era gusto in una vittoria troppo facile.
I due ricominciarono il duello. Poseidone riuscì a colpire
più volte con il tridente il suo avversario e gli infilzò la gamba.
-Il fatto che tu non sei un vero dio, ti rende capace di
ucciderci ma allo stesso tempo rende noi capaci della stessa cosa- disse
affaticato Poseidone sicuro di poter ottenere la vittoria –Ritorna in te… non
mi costringere a…-
Come risposta ricevette un gancio. Il folle era ferito ma
non intendeva arrendersi. Avrebbe combattuto fino alla fine. I due continuarono
a fronteggiarsi per altri cinque minuti, poi Poseidone sentì la stanchezza
sovrastarlo. Il folle invece sembrava inesauribile. Come era possibile?
-Come è possibile? La follia ti dà cosi tanto potere?
Dovremmo diventare tutti folli per tornare ai nostri fasti?-
Il folle gli afferrò la testa con le sue due grandi mani e
il dio non riuscì a impedirglielo o a
liberarsi dalla presa mortale. Iniziò a fare pressione e prima che gli
schiacciasse la testa come se fosse una nocciolina, il folle gli mormorò una
cosa: Amore!