domenica 23 dicembre 2012

Il Natale con George Davis


23/12/1925 – New Orleans

Era una Domenica, ma non una Domenica qualunque. Era la Domenica prima di Natale, l'ultima prima di Natale. Nell'aria vi era un fermento mai visto prima. Da qualche anno la vita da quelle parti a New Orleans era cambiata. La tristezza portata dalla guerra era velocemente svanita nel dimenticatoio assieme al ricordo del freddo, della fame e della morte. “Se vuoi vivere l'esperienza più divertente e magica della tua vita visita New Orleans prima di morire” si diceva in giro. E dare torto a tutti coloro che avevano mitizzato questa città era impossibile: le automobili sfrecciavano veloci nella neve appena caduta, i negozi erano addobbati a festa, le persone passeggiavano allegre per le grandi strade, a braccetto o per mano. Si poteva scorgere innamorati che tra una compera e l'altra si scambiavano un bacio felici, anche loro risucchiati dalla gioia del Natale. Una cosa però non era cambiata dal periodo della guerra. In tutta la città persisteva un ronzio, anzi un vero e proprio rumore, ma più che altro un suono continuo. In ogni angolo, in ogni strada, da una finestra o una porta accostata proveniva quell'accostamento così nuovo di note, quella melodia frizzante, il jazz. Il jazz era certamente molto diverso dalle terrificanti bombe belliche eppure molti li paragonavano per parità di fracasso. Come per ogni cosa, c'era anche a chi non piaceva proprio il jazz.
Al generale Davis il jazz piaceva. Gli piaceva così tanto che era pronto a difenderlo fregandosene di rovinare la propria reputazione. Il jazz lo faceva sentire ancora giovane, libero, e vivo.
Il generale Davis aveva sessant'anni e aveva vissuto la guerra, ora si godeva la sua vita da vecchietto, e passeggiava. Si teneva allenato camminando per ore intere ammirando come il divertimento e lo spettacolo animassero la sua città. Balli, canti, musica, show... a New Orleans non potevi annoiarti.
George Davis, passava sempre da solo il Natale, ma questo non lo rendeva meno felice. Il poveretto era vedovo del suo unico e grande amore, Marie Elisabeth, ormai da un paio d'anni. L'unica gioia che aveva provato al ritorno dalla guerra e che lo aveva sostenuto alla notizia della morte di suo figlio in trincea, era stata proprio riabbracciare lei: l'amore di gioventù che durava ancora adesso e sarebbe durato per sempre.
George Davis era un uomo positivo, non si arrendeva mai, e non si faceva abbattere facilmente.
-Buongiorno- ripeteva al passaggio di ogni gentil donna. Donne moderne quelle degli anni venti, niente a che vedere con quelle matrone imbalsamate della sua generazione. Ogni tanto se ne intravedeva ancora qualcuna, di matrona, ingessata nel suo corpetto e nell'enorme gonna che ostruiva il passaggio persino per le automobili.
George Davis ammirava le donne post belliche, sicure, libere e con le gonne corte. Ogni sera le ammirava ballare il charleston, oppure rivolgeva loro complimenti al parco, o ancora si fermava a chiacchierare con le coriste dopo la messa domenicale.
George Davis amava le donne, tutte senza nessuna eccezione, tranne che per le vecchie matrone ovviamente. Ma il suo cuore apparteneva ad una soltanto, la sua Marie. Il signor Davis l'andava a salutare ogni giorno, ma non al cimitero bensì al parco della città, dove si erano conosciuti, innamorati e dove avevano passato interi pomeriggi tutte le estati della loro vita insieme.
Al parco, George dava da mangiare ai piccioni e parlava con gli alberi e i fiori pronunciando sempre il suo nome “Marie, Marie, Marie”. Il signor Davis non era pazzo. Era piuttosto simpatico e originale.
Purtroppo in inverno i piccioni se la davano a gambe, gli alberi restavano nudi e raggrinziti e i fiori preferivano sorgere nel deserto piuttosto che nella terra ghiacciata. In inverno il signor Davis percorreva la città senza meta e di tanto in tanto si imbatteva in qualche orfanello affamato.
-Ehi tu, ragazzo- gridò un giorno alle spalle di un bambino coperto di stracci.
-Dico a te- intimò agitando in aria il bastone da passeggio.
Il bambino si era voltato senza fare una piega -Ehi tu, ragazzo- aveva imitato il vecchio camuffando la voce e assumendo un espressione contrita.

Il signor Davis non era sembrato divertito, anzi come quasi mai gli capitava sembrava davvero infuriato.
-Vieni qui- ordinò
Il ragazzo si avvicinò con le mani dietro la schiena. Al signor Davis bastò far voltare l'arrendevole bambino per accertarsi che questo gli aveva rubato il portafoglio.
-Non è come sembra- aveva detto il bambino impaurito -Questo è un regalo per voi- fece un sorriso sghembo mostrando i denti neri e porgendo all'uomo il suo portafoglio di pelle nera.
-Un regalo?- disse ad alta voce il signor Davis che pensieroso si toccava la barba bianca e i baffi all'insù.
Il suo volto assunse un aria minacciosa ma contro le aspettative il signor Davis si mise a ridere, rise a crepapelle e il bambino fece lo stesso. Si conoscevano, eccome. Billy provava a rubargli il portafoglio tutti i giorni e tutti i giorni tornava alla casa dei trovatelli con le stesse scarpe sgangherate, un bel po' di pane e cinquanta dollari di mancia. Ormai quello era diventata una routine per loro, un gioco. George e Billy erano amici, come potevano essere amici un vecchio generale solitario e un orfano di dieci anni. George dava a Billy qualche soldo e racconti avventurosi in cambio di poter assaporare della persa gioventù. George amava giocare e ridere.
-Allora George, cosa mi racconti oggi?- chiese Billy mentre si sedevano sulla fredda panchina del parco.
-Ti racconterò di un Natale di parecchi anni fa, io ero giovane a quell'epoca e fu una giornata molto divertente perché il Natale a casa mia non era mai normale.
-Perché?-chiese il bambino con gli occhi attenti fissi sull'uomo.
-Fai il bravo, lascia che ti spieghi dall'inizio. Era il 25 Dicembre del 1875, io avevo dieci anni proprio come te adesso.
“-George Davis, sono le undici e un quarto, sarà meglio che ti lavi quelle tue mani nere come il carbone e che indossi l'abito delle feste, è un ordine- aveva gridato la nonna Gertrude in cima alle scale.
George ubbidì come un soldato al suo generale. Stava risalendo le scale dell'enorme casa dei nonni per raggiungere il bagno quando un bisbiglio proveniente da salone lo richiamò.
-pss, pss. Ehi tu, ragazzo- la voce rauca del nonno William era la prima cosa che una persona conosceva di lui poiché stava sempre con la faccia ficcata nel giornale quotidiano. La seconda cosa che si notava del nonno era una vampata di fumo che si intravedeva salire su verso il soffitto. Se non si fosse saputo che per il settanta percento del suo tempo giornaliero William Davis fumava la pipa qualcuno avrebbe potuto pensare che li, dietro la carta, qualche pezzo del nonno o lui tutto intero stesse andando a fuoco. Il salotto prima del pranzo si trasformava in una sauna puzzolente, forse era una strategia del nonno per tenere lontani gli scocciatori.
-Vieni qui George
-dimmi nonno- il ragazzino aveva un rapporto speciale con l'uomo, un complicità dovuta al loro carattere, entrambi amavano scherzare e far disperare la nonna.
-Allora è così ragazzo. Ti fai comandare da quella culona!- proferì fingendosi deluso e riferendosi all'enorme massa posticcia dietro al sedere a cui non sapeva dare un nome e che sua moglie come tutte le altre donne di quel tempo usavano indossare sotto l'abito con lo scopo di ottenere una forma ad “esse” assai di moda.
George non potè obiettare, la nonna entrò di corsa nel salone con la mazza della scopa e la agitò furiosa.
-Ah si? Culona a me? Ma come ti permetti vecchio rimbambito. E tu, George, sparisci da qui prima che il fumo annebbi anche il tuo di cervello.
George scoppiò a ridere e corse su per le scale lasciando il nonno al suo destino, sopportare la furia della nonna. Ma daltronde se l'era cercata.
Il pranzo di Natale in Casa Davis era ricca di cibo e di commensali. C'erano i bis nonni, i nonni, i genitori, zii, cugini, fratelli e pure qualche donna incinta che valeva per due.
La cuoca dei nonni a Natale cucinava dalle sei del mattino fino alle dodici, poi veniva congedata lasciando puntualmente qualche cosa al caso. Quella volta la cuoca si era dimenticata di comprare il pane.
-Ma dico, insomma. Come si fa a dimenticarsi del pane. È una cosa incredibile. William- gridò una volta la nonna.
-Wiilliiaam!
-Wiiiiiiilliiiiiiiiiaaaaaaaaaaam!!!!!
Solo dopo un paio di, chiamiamoli amabili vocalizzi, il nonno si decideva di dar retta alle noie della nonna.
-Dimmi mia cara.
-Va a comprare il pane e non farti vedere finché non hai una bella pagnotta fumante.
-Un cane, e dove lo trovo all'ora di pranzo nel giorno di Natale un cane?- quando gli faceva comodo il nonno si fingeva sordo.
-William Davis, sarà meglio per te che non mi combini pasticci- disse la nonna infilandogli il cappotto e la tuba. Il nonno prese il bastone da passeggio e sospiro sconsolato -ma dove lo trovo un cane- ripeté tra se e se mentre usciva dalla porta.
Senza il nonno il pranzo di Natale era cominciato in qualche modo, tra le urla della nonna che proibiva ai gemellini Sam e Will di correre per la casa con il piatto di pasta in mano, il pianto della piccola Sarah che non voleva stare in braccio alla zia zitella Marjorie mentre si affogava di champagne, e Robert il papà di George che si ostinava ad ascoltare musica di cento anni prima obbligando tutti i commensali ad un tormento uditivo che gli faceva scoppiare il cervello.
Si erano fatte ormai le quattro del pomeriggio, il pranzo era finito da ormai un paio di ore, e non c'era stato poi tanto bisogno del pane. Ma il nonno? E già, il nonno. Tutti si erano dimenticati di lui, soprattutto la nonna, ma non George.
-Il nonno ha trovato il cane?- esordì nel silenzio del salone. Gli uomini erano intenti a bere wiski e a parlare di politica mentre le donne si scambiavano consigli di bellezza e di ricamo.
Oh no, il nonno!- esclamarono tutti presi da un improvviso panico.
-Non avrà trovato il pane?- chiese la nonna
-Non saprà decidersi tra lo sfilatino e le pagnotte- disse convinta la zia Marjorie
-Non avrà con se il denaro- presunse papà Robert
-Non avrà trovato un forno aperto- sospirò mamma Clara
-Non avrà voglia di farsela a piedi- disse il piccolo Will
-Non ricorderà la strada di casa- si preoccupò la zia Wanda
-Sarà morto- esclamò il piccolo Sam
-Coooooosa?!?!?- tutti in coro scattarono in piedi, si creò un trambusto: chi andava di qua, chi andava di là, chi saliva le scale a prendere la borsetta e chi scendeva le scale a prendere il cappotto. -Andiamo a cercarlo- fu l'ultima cosa che si sentì prima di un parlottare indistinto e confusionario.
La famiglia Davis cercò il nonno per tutto il pomeriggio ma non lo trovò.
-Mio marito- pianse la nonna affogando il naso nel fazzoletto ricamato.
-Un momento c'è un posto dove non lo abbiamo cercato. Sono sicuro che si trova li- aveva detto Richard.
Tutta la famiglia seguì il papà di George fino al posto indicato, una carovana di venti persone si fermò nel quartiere malfamato di New Orleans proprio davanti ad un insegna Storyville, il quartiere a luci rosse re dell'intrattenimento in città.
Il nonno uscì da un locale tutto felice e con la testa per aria.
William Davis, ti sembra il modo questo? Abbandonare il pranzo di Natale per venire a divertirti nei bordelli!! Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia!- proferì la nonna offesa.
-Ma no cara non è come sembra, ero in giro per la città, ho bussato a tutti i canili della zona ma erano chiusi. Non volevo tornare a casa senza il cane che mi avevi chiesto. Poi ne ho visto uno vagabondo e l'ho seguito mentre pensavo ad un modo per convincerlo a venire a casa con me. Mi ha portato fino a qui e alla fine visto che c'ero mi sono fermato a pranzo, c'erano delle cameriere tanto gentili, e non avevano il sedere enorme come il tuo- sorrise amabilmente.
-Pane, ti avevo chiesto il pane- gli urlò la nonna nell'orecchio -Va be, è Natale- sospirò ritrovando la calma -Si torna a casa famiglia Davis.”
-È una storia bellissima signor Davis- Billy si piegò in due dalle risate.
-Si è vero- rispose l'uomo con una punta di nostalgia.
-Signor Davis guardi- Billy indicò verso una distinta matrona che si dava le arie agitando il suo abnorme didietro.
-culona- sussurrò il signor Davis ripensando a suo nonno.
-culona- gridò Billy per tutto il parco trattenendo le risate con una mano. La donna si girò di scatto e li fulminò con lo sguardo gelido. Per qualche minuto non fecero altro che ridere di gusto.
-Beh ora è tardi caro, è quasi ora di pranzo. Ecco tieni- Gli porse cento dollari -Mi raccomando porta il pane ai tuoi fratelli orfani e passa un buon Natale.
-Grazie signor Davis, buon Natale- Billy prese il denaro e gli diede un abbraccio.
L'uomo si avviò sotto gli alberi spogli per tornare a casa dove avrebbe passato un natale da solo, senza confusione.
-Signor Davis, George- Billy lo raggiunse -vuole venire a pranzo alla casa dei trovatelli? Li può trovare anche una specie di nonna come la sua, e una zia Marjorie, e poi ci siamo noi bambini che siamo un po' come Sam e Will, e lei.
George Davis pensò qualche attimo a quell'offerta. Non passava un Natale con la famiglia da molto tempo ormai,erano tutti malati, infermi o morti. Restava solo lui.
-Grazie Billy accetto volentieri- gli avrebbe fatto bene un po si sana compagnia confusionaria.
Billy portò il suo amico George alla casa dei trovatelli, George offrì a tutti un lauto pasto, come non se ne vedevano mai da quelle parti.
La sera di Natale avevano tutti la pancia piena e senza forze stavano adagiati su un divano o sul pavimento a soffrire di allucinazioni da troppo cibo.
George era l'unico ad essersi accorto che stava nevicando. La neve candica cadeva leggera e spessa e si posava sul suolo imbiancando uno splendido panorama che sarebbe rimasto nel suo cuore per sempre. George Davis guardando la bellezza della vita dalla finestra prese una decisione: non aveva più la sua famiglia ma aveva la possibilità di regalarla a questi trovatelli, di donar loro una vita vera.

25/12/1960- New Orleans

Billy Davis aveva ormai quarantacinque anni. La sua vita era ricca di impegni. Dopo la seconda guerra era tornato dalla moglie Diana e dai suoi due figli George e Georgina.
Era il giorno di Natale e Billy l'avrebbe passato con la sua famiglia. Scese le scale del George Davis Institute di cui ormai era direttore e chiuse la porta dopo aver salutato gli orfani intenti a scartare i regali che gli aveva donato.
Ora quello che gli importava era raggiungere la sua famiglia e passare un altro meraviglioso Natale con il suo papà George Davis.


lunedì 10 dicembre 2012

LA NEVE BLOCCA ROCCAFORTE

 
 
L'ondata di gelo crea una serie di disagi nei collegamenti interni e con la costa
Analoga la situazione per Bova coperta da un fittissimo manto bianco
 
 

ROCCAFORTE DEL GRECO-Al seguito della perturbazione giunta in Calabria nei giorni scorsi, si è rinnovata una condizione di forte instabilità con neve, piogge e rovesci sparsi sino a quote molto basse.Le forti nevicate della scorsa sera e quelle di oggi, domenica 9 dicembre, hanno creato non pochi disagi al Comune di Roccaforte del Greco che, posto a circa 971 metri s.l.m., si è ritrovato, prevedibilmente, come qualche altro paese dell’Area Grecanica, sotto un bellissimo manto nevoso.Tanta neve insomma  a Roccaforte e a Bova, che sono state entrambre coinvolte dall'ondata di gelo. Destatosi all’alba, il Comune-dopo una copiosa nevicata incominciata nella mezzanotte, con una Temperatura minima di circa -3°C e una Massima di 1°C, con le strade ricoperte di circa 15-20 cm di neve-grazie all’intervento, nella mattinata,degli uomini e dei mezzi spargisale e spalaneve, ha ripristinato, sin dal primo pomeriggio, la viabilità in precedenza bloccata dalla località Santa Maria di San Lorenzo.Il vento, con intensità di 31 Km/h, ha raggiunto raffiche di 61 Km/h, rendendo impraticabile la percorrenza delle strade montane più interne.L’allerta meteo, dunque, non è tuttora cessata:si attendono, infatti, nevicate e temperature molto basse nei prossimi giorni.Il mezzo privato di locomozione che permette ai roccafortesi di raggiungere i paesi limitrofi, a oggi, non è riuscito a rientrare in paese probabilmente per gli eventuali disagi dei prossimi giorni:«attualmente è sito in località Santa Maria di San Lorenzo poiché,dicono, qualora vi fossero delle gelate,in mancanza di un intervento tempestivo degli addetti,si rischierebbe di far venire meno anche il servizio di spostamento di lavoratori o studenti, che intanto raggiungono questa località con l’ausilio dei propri mezzi».«Sebbene privo d'impianti e strutture adeguate che gli consentano di far attecchire una qualche sorta di turismo viste le peculiarità,Roccaforte del Greco, conserva attraverso questi paesaggi naturali una magia ancora intatta».L’hanno ribadito alcuni cittadini,i quali non hanno esitato ad affermare come sia problematica la situazione del paese, già martoriato in precedenza dalla caduta di due frane causate dalle forti piogge.«A spaventare,dicono,non è la neve, non è la pioggia, anche quella abbondante cui siamo abituati, bensì l’incapacità delle istituzioni competenti di far fronte a eventi naturali che non sempre vengono gestiti come dovrebbero e nei tempi che necessiterebbero».Il tasto dolente che i più confermano è la mancanza di prevenzione:«Sappiamo, affermano,che non è possibile prevedere o fermare gli eventi naturali, ma almeno si potrebbero, e si dovrebbero, prevenire i disastri attraverso una preventiva messa in sicurezza del territorio,così da evitare eventuali rischi a cose e persone».
ARTICOLO USCITO OGGI,10 DICEMBRE ,SUL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, NELLA PAGINA GRECANICA.

 
 



venerdì 7 dicembre 2012

La Voce del Fuoco



La Voce di Fuoco

Lautore di questo libro è il famosissimo Alan Moore. Se ovviamente non lo conoscete, vuol dire che probabilmente non sapete molto di comics, perché non c’è stato nessun autore che ha influenzato come lui questo genere letterario. V for Vendette e Watchmen, che hanno ispirato i loro omonimi film, hanno ridefinito il concetto di supereroe. Comunque non è mia intenzione annoiarvi con una storia del fumetto, volevo spiegarvi il motivo per cui ho deciso di leggere questo libro. Ossia se questo autore riusciva a esprimere la sua genialità anche nella classica forma del romanzo. Secondo me ci è riuscito alla grande. Chi è il protagonista della Voce di Fuoco? E la città di Northampton, cioè la sua città. La omaggia narrando delle vicende di alcuni individui nel corso della sua lunga storia, dalla preistoria per arrivare al 1995. Le vicende possono essere lette in maniera indipendente le une dalle altre, ma ci sono dei piccoli legami. Oltre alla città di Northampton, ricorrenti sono il fuoco, la fine violenta dei protagonisti, lo sciamano dalle corna di cervo, la malattia degli arti inferiori, gli shagfoal (citati e intravisti di sfuggita, ma che non compaiono mai) e il mese di Novembre. Il primo racconto non può iniziare nel peggiore dei modi. Pensate, è in prima persona, come tutti gli altri racconti, ma è raccontato da un preistorico ritardato e il modo in cui è riproposta la sua narrazione è verosimile al massimo, anche se molto ostico per noi. La sintassi è piena di errori e non si capisce bene che cosa voglia dire in alcune parti. Io lho interpretato come una sfida. Lautore ci dice: Volete un romanzo semplice e facile da comprendere? Bene, posate questo e passate al prossimo! Non voglio che a leggere il mio libro siano tutti, non mi importa che diventi un best- sellers. Voglio che venga letto dalle persone giuste. Supera questa prima prova inziale e sarai degno di sapere cosa c’è scritto dopo. La fatica è stata tanta, anche se in una prosa così ostica ho trovato momenti di rara poesia e a espressioni che secondo me sono veri colpi di genio come questa: Io fa chiude gli occhi, così che lei non vede. Cioè il protagonista ha paura di una donna e così chiude gli occhi pensando che così non le faccia del male, un po come fanno i bambini che vedono nel bui dei mostri immaginari e chiudono gli occhi pensando che così scompaiono. Con il secondo racconto, la prosa diventa più scorrevole anche se la protagonista, che è anche una donna della preistoria, usa solo il presente e quindi devi stare attento a quando parla degli eventi che gli stanno succedendo adesso e di quelli che gli sono già successi. La prosa con gli altri racconti diventa scorrevole, ma i messaggi nascosti sono altrettanto difficili da capire e comprendere. Uno che più mi ha colpito e divertito è stato Confessioni di una maschera, in cui è una testa infilata ad una lancia a raccontare la sua storia e il suo quotidiano. Lironia di Moore si manifesta anche nelle Complici nel Rammendo e Io Porto i Reggicalze. In tutti la psicologia dei personaggi è resa benissimo e sembra perfetta lempatia che lautore ha con loro. Non si sente affatto la sua voce, ma quella di ognuno di loro. Lultimo racconto si svolge nel presente e il protagonista è Alan Moore che parla di questo libro, di alcuni episodi della sua famiglia e descrivere fisicamente e concettualmente la sua città. Tenebre nascoste dietro tendine di tulle. Follia. Violenza. Anche solo ad un esame superficiale, sono queste le tinte predominanti della tela di Northampton. E innegabile che vi si nascondono anche lo stupore e la malinconia e un pungente senso dellumorismo

Finito il libro, due sono state le sensazioni che più ho provato. Un senso di soddisfazione, ma soprattutto la voglia di rileggerlo una seconda volta per capirlo meglio e ritrovare tutte le frasi che mi hanno colpito e come il fuoco mi hanno marchiato il cuore.

Voto

Bellissimo, poetico ma non per tutti

sabato 1 dicembre 2012

Hippolita. 1







La signora Strong guardava dalla vetrata del suo ufficio i manifestanti assembrati di sotto che protestavano. Grazie alla Strong i colpevoli sono fuori, dicevano alcuni cartelli. Lei sorrise soddisfatta. Era quella che voleva.
-Signora Strong?- la chiamò una sua segretaria un po’ intimidita dalla donna che a soli trenta anni aveva uno studio legale con il suo nome e una fama di squalo di aula di tribunale da far impallidire chiunque. La verità era che lei era la più brava.
-Il suo cliente la aspetta- continuò la segretaria
-Si, sto venendo… la sua documentazione?-
La ragazza le porse la cartellina e lei iniziò a leggerla mentre andava verso la stanza dove si trovava il suo nuovo cliente. Quando aprì la porta si trovò un uomo della sua stessa età, molto affascinante e con un pizzetto. Nel suo completo i muscoli si potevano intravedere.
-Signora Strong è un piacere conoscerla- disse l’uomo porgendole la mano
-Il piacere è mio signor Maicol Aires –disse lei stringendo la mano –per quanto mi riguardo il titolo signora è per via della rispettabilità che ho conquistato, non per il fatto di essere sposata…-
-Preferisce Miss?- le chiese l’uomo –Ha una bella stretta per essere una donna-
-Lasciamo stare queste faccende… vedo che lei è accusato di molti crimini. E’ un mercenario e dove va lei arriva guerra e morte… la morte non sono per i nemici ma anche per civili innocenti…-
-Signorina Strong… nessuno è innocente a questo mondo…-
-Quindi si vuole dichiarare colpevole?- gli chiese guardandolo negli occhi neri come la pece
-No…- scoppiò a ridere –sto dicendo che tutti commettiamo dei peccati… i crimini sono un’altra faccenda. Le posso assicurare che io non centro nulla con la morte degli innocenti.-
-Molto bene… allora per me sarà più facile dimostrare che lei non è colpevole… sa dalle mie parti esisteva una favola. C’era una amazzone che riusciva a vincere anche gli uomini, pensi riusciva anche a sfidare gli dei. Un po’ come lei. C’è solo una differenza. Lei si prodigava per gli indifesi e gli oppressi. Come mai lei è così diversa?-
-Non tutti possiamo essere gli eroi della storia, non è vero signor Aires?- gli rispose –Comunque non sono affari suoi. Tanti altri avvocati in città fanno lo stesso-
-Però lei è l’unica che è riuscita a far scarcerare un pericoloso serial killer che il giorno dopo ha ucciso una bambina e non mi dica che lei non sapeva che fosse colpevole… Sapeva che gli piaceva uccidere delle bambine e lei ha fatto finta di nulla e ha fatto…-
-Il mio dovere! Ho fatto il mio dovere!- urlò lei –E lo stesso farò con lei!
-Molto bene…- sorrise soddisfatto –spero tanto che non mi deluda
-Come finisce quella sua storia su quella eroina?- le chiese lei vedendo che stava per andarsene
-Glielo racconterò un altro giorno-
Il signor Aires uscì passando in mezzo alla folla e si fermò davanti ad un barbone cencioso e sporco.
-Come è andata, figliolo?- gli chiese il barbone
-Non ricorda nulla… ed il problema più grave è che sembra me… qualcuno dovrà guarire la sua anima altrimenti per noi sarà la fine…-
-Forse è quello che ci meritiamo… dimenticati da tutti e presto anche morti…-
-Non lo permetterò padre, costi quel che costi… ho un piano, mi serve lo zoppo…-
-Non coinvolgerlo… lo sai che è un demente e che rischia di fare solo danni…-
-E’ mio fratello ed è ridotto in quello stato solo per colpa tua… non hai mai dato affetto ai tuoi veri figlio solo a quel bastardo e ora guarda che cosa è successo!-
-Se non fosse stato per quella cagna di tua madre! Lei lo ha portato alla follia!-
-Non parlare così di mia madre!- gli urlò il figlio –Lei è morta per colpa tua e della tua infedeltà… se questa situazione si risolverà, io e te dovremo avere un confronto-
La giornata sta per concludersi e tutti si preparavano ad uscire. Solo Hippolita stava ancora studiando tutta la documentazione per salvare il suo cliente.
Era tutto normale fin quando la porta del piano in cui si trovava lo studio legale non venne sfondata dal calcio di un uomo con un soprabito addosso.
-Come ha fatto? La porta è blindata- balbettò per la sorpresa un giovane avvocato che era ancora all’inizio.
L’uomo si avvicinò a lui molto lentamente, lo afferrò per il collo e glielo spezzò come nulla fosse.
-Cazzo! Un dannato Terminator!-
Era vero l’uomo si muoveva come se fosse una macchina. Uno cercò di opporsi alla sua avanzata, lo colpì con una sedia, ma questa si fracassò contro la schiena dell’assalitore.
Hippolita solo dopo un paio di minuti sentì il baccano per quanto era concentrato, furiosa si diresse verso la porta del suo ufficio pronto a richiamare tutti i suoi sottoposti all’ordine. Non si trovavano mica allo stadio…
Poi vide l’uomo che stava facendo letteralmente a pezzi i suoi avvocati e sgranò gli occhi dalla paura. Uno di quei pazzi manifestanti? L’uomo la vide e lasciando stare gli altri andò verso di lei.
-Oh Cazzo! Mi ha vista- pensò in preda al panico. Doveva fare qualcosa immediatamente. Un manifestante! Certo! Aveva comprato una pistola preoccupata che qualche fanatico potesse farle del male… corse nella sua scrivania e aprì il cassetto. Non appena le sua mani sfiorarono l’acciaio dell’arma, sentì una strana sensazione.
L’uomo sfondò la porta rompendo il vetro e il legno che la costituivano senza alcuna preoccupazione. Sembrava che nulla potesse fermarlo. Lo guardò negli occhi. Erano completamente neri. Le venne un terribile mal di testa. Non proprio in quel momento! Quegli occhi le sembrava di averli già visti… ma dove?
Gli puntò contro la pistola e sparò. Il proiettile finì contro il petto dell’uomo ma rimbalzò. Anche lei pensò che si trattasse di un terminator e che fosse fatto di acciaio. Doveva essere spaventata a morte, ma in realtà si sentiva bene… eccitata come non mai nella sua vita. Sparò ancora senza alcun successo. L’uomo o quello che era le fu abbastanza vicina da tentare di afferrarla. Lei però salì sulla scrivania e fece un salto sopra la testa dell’assalitore finendo dall’altra parte. Fu sorpresa del suo gesto. Non aveva mai fatto atletica. Premette un’altra volta il grilletto stavolta mirando ad un occhio. Centro perfetto. L’essere ora si muoveva meno sicuro. Non ci vedeva bene. Prese di nuovo la mira, ma stavolta non lo prese. Sparò un altro colpo e stavolta fece centro. L’essere era cieco e per questo perse il controllo. Iniziò a colpire da per tutto. Afferrò la scrivania e la lanciò dove pensava che ci fosse Hippolita. Doveva scappare ma la prima cosa che pensò e che se l’avesse fatto, il suo assalitore l’avrebbe cercata e avrebbe fatto del male a chiunque incontrasse. Non le era mai importato degli altri, le avevano fatto troppo male, però sapeva che era sua responsabilità proteggerli e lo avrebbe fatto. Si lanciò contro l’essere e lo colpì con i suoi piedi sul petto. Questo indietreggiò verso la vetrina, ma nulla di più. Hippolita invece si era fatta male. Era veramente d’acciaio quel dannato coso. Quando lo vide vicino alla vetrina, le venne in mente di buttarlo giù. Si rialzò e riprovò a colpirlo come aveva fatto prima. Ci riuscì. Il robot o cyborg sfondò la vetrina però le prese il piede e la trascinò con se. Prima di cadere insieme nel vuoto, una mano le afferrò il braccio. Era Aires che la guardava sorridendo.
-Giusto in tempo… se si voleva sbarazzare dei suoi contestatori non doveva lanciargli contro un uomo e se stessa… bastava l’uomo!- disse sorridendo e tentando di portarla dentro e al sicuro.
-Non era un uomo- gli disse affaticata ed esausta per lo sforzo che aveva fatto nel buttar di fuori il suo aggressore
-Lo so…-
-Come fa a saperlo?- gli chiese sospettosa
-Perché so chi l’ha mandato…-
-Dobbiamo denunciarlo…-
-Nessuno può fermarlo… morirebbero solo innocenti…-
-E quindi? Aspetto che mi uccida?-
-No, andiamo ad affrontarlo io e lei-
Fino ad un minuto fa, avrebbe dato del pazzo a quell’uomo. Non le importava di quella bambina che era stata uccisa da quel serial killer, figurarsi dei poliziotti che rischiavano la vita per compiere il loro lavoro… ora però era cambiata qualcosa. Non sapeva che cosa però.
-D’accordo.-

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