23/12/1925 – New Orleans
Era una Domenica, ma non una Domenica
qualunque. Era la Domenica prima di Natale, l'ultima prima di Natale.
Nell'aria vi era un fermento mai visto prima. Da qualche anno la vita
da quelle parti a New Orleans era cambiata. La tristezza portata
dalla guerra era velocemente svanita nel dimenticatoio assieme al
ricordo del freddo, della fame e della morte. “Se vuoi vivere
l'esperienza più divertente e magica della tua vita visita New
Orleans prima di morire” si diceva in giro. E dare torto a tutti
coloro che avevano mitizzato questa città era impossibile: le
automobili sfrecciavano veloci nella neve appena caduta, i negozi
erano addobbati a festa, le persone passeggiavano allegre per le
grandi strade, a braccetto o per mano. Si poteva scorgere innamorati
che tra una compera e l'altra si scambiavano un bacio felici, anche
loro risucchiati dalla gioia del Natale. Una cosa però non era
cambiata dal periodo della guerra. In tutta la città persisteva un
ronzio, anzi un vero e proprio rumore, ma più che altro un suono
continuo. In ogni angolo, in ogni strada, da una finestra o una porta
accostata proveniva quell'accostamento così nuovo di note, quella
melodia frizzante, il jazz. Il jazz era certamente molto diverso
dalle terrificanti bombe belliche eppure molti li paragonavano per
parità di fracasso. Come per ogni cosa, c'era anche a chi non
piaceva proprio il jazz.
Al generale Davis il jazz piaceva. Gli
piaceva così tanto che era pronto a difenderlo fregandosene di
rovinare la propria reputazione. Il jazz lo faceva sentire ancora
giovane, libero, e vivo.
Il generale Davis aveva sessant'anni e
aveva vissuto la guerra, ora si godeva la sua vita da vecchietto, e
passeggiava. Si teneva allenato camminando per ore intere ammirando
come il divertimento e lo spettacolo animassero la sua città. Balli,
canti, musica, show... a New Orleans non potevi annoiarti.
George Davis, passava sempre da solo il
Natale, ma questo non lo rendeva meno felice. Il poveretto era vedovo
del suo unico e grande amore, Marie Elisabeth, ormai da un paio
d'anni. L'unica gioia che aveva provato al ritorno dalla guerra e che
lo aveva sostenuto alla notizia della morte di suo figlio in trincea,
era stata proprio riabbracciare lei: l'amore di gioventù che durava
ancora adesso e sarebbe durato per sempre.
George Davis era un uomo positivo, non
si arrendeva mai, e non si faceva abbattere facilmente.
-Buongiorno- ripeteva al passaggio di
ogni gentil donna. Donne moderne quelle degli anni venti, niente a
che vedere con quelle matrone imbalsamate della sua generazione. Ogni
tanto se ne intravedeva ancora qualcuna, di matrona, ingessata nel
suo corpetto e nell'enorme gonna che ostruiva il passaggio persino
per le automobili.
George Davis ammirava le donne post
belliche, sicure, libere e con le gonne corte. Ogni sera le ammirava
ballare il charleston, oppure rivolgeva loro complimenti al parco, o
ancora si fermava a chiacchierare con le coriste dopo la messa
domenicale.
George Davis amava le donne, tutte
senza nessuna eccezione, tranne che per le vecchie matrone
ovviamente. Ma il suo cuore apparteneva ad una soltanto, la sua
Marie. Il signor Davis l'andava a salutare ogni giorno, ma non al
cimitero bensì al parco della città, dove si erano conosciuti,
innamorati e dove avevano passato interi pomeriggi tutte le estati
della loro vita insieme.
Al parco, George dava da mangiare ai
piccioni e parlava con gli alberi e i fiori pronunciando sempre il
suo nome “Marie, Marie, Marie”. Il signor Davis non era pazzo.
Era piuttosto simpatico e originale.
Purtroppo in inverno i piccioni se la
davano a gambe, gli alberi restavano nudi e raggrinziti e i fiori
preferivano sorgere nel deserto piuttosto che nella terra ghiacciata.
In inverno il signor Davis percorreva la città senza meta e di tanto
in tanto si imbatteva in qualche orfanello affamato.
-Ehi tu, ragazzo- gridò un giorno alle
spalle di un bambino coperto di stracci.
-Dico a te- intimò agitando in aria il
bastone da passeggio.
Il bambino si era voltato senza fare
una piega -Ehi tu, ragazzo- aveva imitato il vecchio camuffando la
voce e assumendo un espressione contrita.
Il signor Davis non era sembrato
divertito, anzi come quasi mai gli capitava sembrava davvero
infuriato.
-Vieni qui- ordinò
Il ragazzo si avvicinò con le mani
dietro la schiena. Al signor Davis bastò far voltare l'arrendevole
bambino per accertarsi che questo gli aveva rubato il portafoglio.
-Non è come sembra- aveva detto il
bambino impaurito -Questo è un regalo per voi- fece un sorriso
sghembo mostrando i denti neri e porgendo all'uomo il suo portafoglio
di pelle nera.
-Un regalo?- disse ad alta voce il
signor Davis che pensieroso si toccava la barba bianca e i baffi
all'insù.
Il suo volto assunse un aria minacciosa
ma contro le aspettative il signor Davis si mise a ridere, rise a
crepapelle e il bambino fece lo stesso. Si conoscevano, eccome. Billy
provava a rubargli il portafoglio tutti i giorni e tutti i giorni
tornava alla casa dei trovatelli con le stesse scarpe sgangherate, un
bel po' di pane e cinquanta dollari di mancia. Ormai quello era
diventata una routine per loro, un gioco. George e Billy erano amici,
come potevano essere amici un vecchio generale solitario e un orfano
di dieci anni. George dava a Billy qualche soldo e racconti
avventurosi in cambio di poter assaporare della persa gioventù.
George amava giocare e ridere.
-Allora George, cosa mi racconti oggi?-
chiese Billy mentre si sedevano sulla fredda panchina del parco.
-Ti racconterò di un Natale di
parecchi anni fa, io ero giovane a quell'epoca e fu una giornata
molto divertente perché il Natale a casa mia non era mai normale.
-Perché?-chiese il bambino con gli
occhi attenti fissi sull'uomo.
-Fai il bravo, lascia che ti spieghi
dall'inizio. Era il 25 Dicembre del 1875, io avevo dieci anni proprio
come te adesso.
“-George Davis, sono le undici e
un quarto, sarà meglio che ti lavi quelle tue mani nere come il
carbone e che indossi l'abito delle feste, è un ordine- aveva
gridato la nonna Gertrude in cima alle scale.
George ubbidì come un soldato al
suo generale. Stava risalendo le scale dell'enorme casa dei nonni per
raggiungere il bagno quando un bisbiglio proveniente da salone lo
richiamò.
-pss, pss. Ehi tu, ragazzo- la voce
rauca del nonno William era la prima cosa che una persona conosceva
di lui poiché stava sempre con la faccia ficcata nel giornale
quotidiano. La seconda cosa che si notava del nonno era una vampata
di fumo che si intravedeva salire su verso il soffitto. Se non si
fosse saputo che per il settanta percento del suo tempo giornaliero
William Davis fumava la pipa qualcuno avrebbe potuto pensare che li,
dietro la carta, qualche pezzo del nonno o lui tutto intero stesse
andando a fuoco. Il salotto prima del pranzo si trasformava in una
sauna puzzolente, forse era una strategia del nonno per tenere
lontani gli scocciatori.
-Vieni qui George
-dimmi nonno- il ragazzino aveva un
rapporto speciale con l'uomo, un complicità dovuta al loro
carattere, entrambi amavano scherzare e far disperare la nonna.
-Allora è così ragazzo. Ti fai
comandare da quella culona!- proferì fingendosi deluso e riferendosi
all'enorme massa posticcia dietro al sedere a cui non sapeva dare un
nome e che sua moglie come tutte le altre donne di quel tempo usavano
indossare sotto l'abito con lo scopo di ottenere una forma ad “esse”
assai di moda.
George non potè obiettare, la nonna
entrò di corsa nel salone con la mazza della scopa e la agitò
furiosa.
-Ah si? Culona a me? Ma come ti
permetti vecchio rimbambito. E tu, George, sparisci da qui prima che
il fumo annebbi anche il tuo di cervello.
George scoppiò a ridere e corse su
per le scale lasciando il nonno al suo destino, sopportare la furia
della nonna. Ma daltronde se l'era cercata.
Il pranzo di Natale in Casa Davis
era ricca di cibo e di commensali. C'erano i bis nonni, i nonni, i
genitori, zii, cugini, fratelli e pure qualche donna incinta che
valeva per due.
La cuoca dei nonni a Natale cucinava
dalle sei del mattino fino alle dodici, poi veniva congedata
lasciando puntualmente qualche cosa al caso. Quella volta la cuoca si
era dimenticata di comprare il pane.
-Ma dico, insomma. Come si fa a
dimenticarsi del pane. È una cosa incredibile. William- gridò una
volta la nonna.
-Wiilliiaam!
-Wiiiiiiilliiiiiiiiiaaaaaaaaaaam!!!!!
Solo dopo un paio di, chiamiamoli
amabili vocalizzi, il nonno si decideva di dar retta alle noie della
nonna.
-Dimmi mia cara.
-Va a comprare il pane e non farti
vedere finché non hai una bella pagnotta fumante.
-Un cane, e dove lo trovo all'ora di
pranzo nel giorno di Natale un cane?- quando gli faceva comodo il
nonno si fingeva sordo.
-William Davis, sarà meglio per te
che non mi combini pasticci- disse la nonna infilandogli il cappotto
e la tuba. Il nonno prese il bastone da passeggio e sospiro
sconsolato -ma dove lo trovo un cane- ripeté tra se e se mentre
usciva dalla porta.
Senza il nonno il pranzo di Natale
era cominciato in qualche modo, tra le urla della nonna che proibiva
ai gemellini Sam e Will di correre per la casa con il piatto di pasta
in mano, il pianto della piccola Sarah che non voleva stare in
braccio alla zia zitella Marjorie mentre si affogava di champagne, e
Robert il papà di George che si ostinava ad ascoltare musica di
cento anni prima obbligando tutti i commensali ad un tormento uditivo
che gli faceva scoppiare il cervello.
Si erano fatte ormai le quattro del
pomeriggio, il pranzo era finito da ormai un paio di ore, e non c'era
stato poi tanto bisogno del pane. Ma il nonno? E già, il nonno.
Tutti si erano dimenticati di lui, soprattutto la nonna, ma non
George.
-Il nonno ha trovato il cane?-
esordì nel silenzio del salone. Gli uomini erano intenti a bere
wiski e a parlare di politica mentre le donne si scambiavano consigli
di bellezza e di ricamo.
Oh no, il nonno!- esclamarono tutti
presi da un improvviso panico.
-Non avrà trovato il pane?- chiese
la nonna
-Non saprà decidersi tra lo
sfilatino e le pagnotte- disse convinta la zia Marjorie
-Non avrà con se il denaro-
presunse papà Robert
-Non avrà trovato un forno aperto-
sospirò mamma Clara
-Non avrà voglia di farsela a
piedi- disse il piccolo Will
-Non ricorderà la strada di casa-
si preoccupò la zia Wanda
-Sarà morto- esclamò il piccolo
Sam
-Coooooosa?!?!?- tutti in coro
scattarono in piedi, si creò un trambusto: chi andava di qua, chi
andava di là, chi saliva le scale a prendere la borsetta e chi
scendeva le scale a prendere il cappotto. -Andiamo a cercarlo- fu
l'ultima cosa che si sentì prima di un parlottare indistinto e
confusionario.
La famiglia Davis cercò il nonno
per tutto il pomeriggio ma non lo trovò.
-Mio marito- pianse la nonna
affogando il naso nel fazzoletto ricamato.
-Un momento c'è un posto dove non
lo abbiamo cercato. Sono sicuro che si trova li- aveva detto Richard.
Tutta la famiglia seguì il papà di
George fino al posto indicato, una carovana di venti persone si fermò
nel quartiere malfamato di New Orleans proprio davanti ad un insegna
Storyville, il quartiere a luci rosse re dell'intrattenimento in
città.
Il nonno uscì da un locale tutto
felice e con la testa per aria.
William Davis, ti sembra il modo
questo? Abbandonare il pranzo di Natale per venire a divertirti nei
bordelli!! Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia!- proferì la
nonna offesa.
-Ma no cara non è come sembra, ero
in giro per la città, ho bussato a tutti i canili della zona ma
erano chiusi. Non volevo tornare a casa senza il cane che mi avevi
chiesto. Poi ne ho visto uno vagabondo e l'ho seguito mentre pensavo
ad un modo per convincerlo a venire a casa con me. Mi ha portato fino
a qui e alla fine visto che c'ero mi sono fermato a pranzo, c'erano
delle cameriere tanto gentili, e non avevano il sedere enorme come il
tuo- sorrise amabilmente.
-Pane, ti avevo chiesto il pane- gli
urlò la nonna nell'orecchio -Va be, è Natale- sospirò ritrovando
la calma -Si torna a casa famiglia Davis.”
-È una storia
bellissima signor Davis- Billy si piegò in due dalle risate.
-Si è vero-
rispose l'uomo con una punta di nostalgia.
-Signor Davis
guardi- Billy indicò verso una distinta matrona che si dava le arie
agitando il suo abnorme didietro.
-culona- sussurrò
il signor Davis ripensando a suo nonno.
-culona- gridò
Billy per tutto il parco trattenendo le risate con una mano. La donna
si girò di scatto e li fulminò con lo sguardo gelido. Per qualche
minuto non fecero altro che ridere di gusto.
-Beh ora è tardi
caro, è quasi ora di pranzo. Ecco tieni- Gli porse cento dollari -Mi
raccomando porta il pane ai tuoi fratelli orfani e passa un buon
Natale.
-Grazie signor
Davis, buon Natale- Billy prese il denaro e gli diede un abbraccio.
L'uomo si avviò
sotto gli alberi spogli per tornare a casa dove avrebbe passato un
natale da solo, senza confusione.
-Signor Davis,
George- Billy lo raggiunse -vuole venire a pranzo alla casa dei
trovatelli? Li può trovare anche una specie di nonna come la sua, e
una zia Marjorie, e poi ci siamo noi bambini che siamo un po' come
Sam e Will, e lei.
George Davis pensò
qualche attimo a quell'offerta. Non passava un Natale con la famiglia
da molto tempo ormai,erano tutti malati, infermi o morti. Restava
solo lui.
-Grazie Billy
accetto volentieri- gli avrebbe fatto bene un po si sana compagnia
confusionaria.
Billy portò il suo
amico George alla casa dei trovatelli, George offrì a tutti un lauto
pasto, come non se ne vedevano mai da quelle parti.
La sera di Natale
avevano tutti la pancia piena e senza forze stavano adagiati su un
divano o sul pavimento a soffrire di allucinazioni da troppo cibo.
George era l'unico
ad essersi accorto che stava nevicando. La neve candica cadeva
leggera e spessa e si posava sul suolo imbiancando uno splendido
panorama che sarebbe rimasto nel suo cuore per sempre. George Davis
guardando la bellezza della vita dalla finestra prese una decisione:
non aveva più la sua famiglia ma aveva la possibilità di regalarla
a questi trovatelli, di donar loro una vita vera.
25/12/1960- New
Orleans
Billy Davis aveva
ormai quarantacinque anni. La sua vita era ricca di impegni. Dopo la
seconda guerra era tornato dalla moglie Diana e dai suoi due figli
George e Georgina.
Era il giorno di
Natale e Billy l'avrebbe passato con la sua famiglia. Scese le scale
del George Davis Institute di cui ormai era direttore e chiuse
la porta dopo aver salutato gli orfani intenti a scartare i regali
che gli aveva donato.
Ora quello che gli
importava era raggiungere la sua famiglia e passare un altro
meraviglioso Natale con il suo papà George Davis.