sabato 1 dicembre 2012

Hippolita. 1







La signora Strong guardava dalla vetrata del suo ufficio i manifestanti assembrati di sotto che protestavano. Grazie alla Strong i colpevoli sono fuori, dicevano alcuni cartelli. Lei sorrise soddisfatta. Era quella che voleva.
-Signora Strong?- la chiamò una sua segretaria un po’ intimidita dalla donna che a soli trenta anni aveva uno studio legale con il suo nome e una fama di squalo di aula di tribunale da far impallidire chiunque. La verità era che lei era la più brava.
-Il suo cliente la aspetta- continuò la segretaria
-Si, sto venendo… la sua documentazione?-
La ragazza le porse la cartellina e lei iniziò a leggerla mentre andava verso la stanza dove si trovava il suo nuovo cliente. Quando aprì la porta si trovò un uomo della sua stessa età, molto affascinante e con un pizzetto. Nel suo completo i muscoli si potevano intravedere.
-Signora Strong è un piacere conoscerla- disse l’uomo porgendole la mano
-Il piacere è mio signor Maicol Aires –disse lei stringendo la mano –per quanto mi riguardo il titolo signora è per via della rispettabilità che ho conquistato, non per il fatto di essere sposata…-
-Preferisce Miss?- le chiese l’uomo –Ha una bella stretta per essere una donna-
-Lasciamo stare queste faccende… vedo che lei è accusato di molti crimini. E’ un mercenario e dove va lei arriva guerra e morte… la morte non sono per i nemici ma anche per civili innocenti…-
-Signorina Strong… nessuno è innocente a questo mondo…-
-Quindi si vuole dichiarare colpevole?- gli chiese guardandolo negli occhi neri come la pece
-No…- scoppiò a ridere –sto dicendo che tutti commettiamo dei peccati… i crimini sono un’altra faccenda. Le posso assicurare che io non centro nulla con la morte degli innocenti.-
-Molto bene… allora per me sarà più facile dimostrare che lei non è colpevole… sa dalle mie parti esisteva una favola. C’era una amazzone che riusciva a vincere anche gli uomini, pensi riusciva anche a sfidare gli dei. Un po’ come lei. C’è solo una differenza. Lei si prodigava per gli indifesi e gli oppressi. Come mai lei è così diversa?-
-Non tutti possiamo essere gli eroi della storia, non è vero signor Aires?- gli rispose –Comunque non sono affari suoi. Tanti altri avvocati in città fanno lo stesso-
-Però lei è l’unica che è riuscita a far scarcerare un pericoloso serial killer che il giorno dopo ha ucciso una bambina e non mi dica che lei non sapeva che fosse colpevole… Sapeva che gli piaceva uccidere delle bambine e lei ha fatto finta di nulla e ha fatto…-
-Il mio dovere! Ho fatto il mio dovere!- urlò lei –E lo stesso farò con lei!
-Molto bene…- sorrise soddisfatto –spero tanto che non mi deluda
-Come finisce quella sua storia su quella eroina?- le chiese lei vedendo che stava per andarsene
-Glielo racconterò un altro giorno-
Il signor Aires uscì passando in mezzo alla folla e si fermò davanti ad un barbone cencioso e sporco.
-Come è andata, figliolo?- gli chiese il barbone
-Non ricorda nulla… ed il problema più grave è che sembra me… qualcuno dovrà guarire la sua anima altrimenti per noi sarà la fine…-
-Forse è quello che ci meritiamo… dimenticati da tutti e presto anche morti…-
-Non lo permetterò padre, costi quel che costi… ho un piano, mi serve lo zoppo…-
-Non coinvolgerlo… lo sai che è un demente e che rischia di fare solo danni…-
-E’ mio fratello ed è ridotto in quello stato solo per colpa tua… non hai mai dato affetto ai tuoi veri figlio solo a quel bastardo e ora guarda che cosa è successo!-
-Se non fosse stato per quella cagna di tua madre! Lei lo ha portato alla follia!-
-Non parlare così di mia madre!- gli urlò il figlio –Lei è morta per colpa tua e della tua infedeltà… se questa situazione si risolverà, io e te dovremo avere un confronto-
La giornata sta per concludersi e tutti si preparavano ad uscire. Solo Hippolita stava ancora studiando tutta la documentazione per salvare il suo cliente.
Era tutto normale fin quando la porta del piano in cui si trovava lo studio legale non venne sfondata dal calcio di un uomo con un soprabito addosso.
-Come ha fatto? La porta è blindata- balbettò per la sorpresa un giovane avvocato che era ancora all’inizio.
L’uomo si avvicinò a lui molto lentamente, lo afferrò per il collo e glielo spezzò come nulla fosse.
-Cazzo! Un dannato Terminator!-
Era vero l’uomo si muoveva come se fosse una macchina. Uno cercò di opporsi alla sua avanzata, lo colpì con una sedia, ma questa si fracassò contro la schiena dell’assalitore.
Hippolita solo dopo un paio di minuti sentì il baccano per quanto era concentrato, furiosa si diresse verso la porta del suo ufficio pronto a richiamare tutti i suoi sottoposti all’ordine. Non si trovavano mica allo stadio…
Poi vide l’uomo che stava facendo letteralmente a pezzi i suoi avvocati e sgranò gli occhi dalla paura. Uno di quei pazzi manifestanti? L’uomo la vide e lasciando stare gli altri andò verso di lei.
-Oh Cazzo! Mi ha vista- pensò in preda al panico. Doveva fare qualcosa immediatamente. Un manifestante! Certo! Aveva comprato una pistola preoccupata che qualche fanatico potesse farle del male… corse nella sua scrivania e aprì il cassetto. Non appena le sua mani sfiorarono l’acciaio dell’arma, sentì una strana sensazione.
L’uomo sfondò la porta rompendo il vetro e il legno che la costituivano senza alcuna preoccupazione. Sembrava che nulla potesse fermarlo. Lo guardò negli occhi. Erano completamente neri. Le venne un terribile mal di testa. Non proprio in quel momento! Quegli occhi le sembrava di averli già visti… ma dove?
Gli puntò contro la pistola e sparò. Il proiettile finì contro il petto dell’uomo ma rimbalzò. Anche lei pensò che si trattasse di un terminator e che fosse fatto di acciaio. Doveva essere spaventata a morte, ma in realtà si sentiva bene… eccitata come non mai nella sua vita. Sparò ancora senza alcun successo. L’uomo o quello che era le fu abbastanza vicina da tentare di afferrarla. Lei però salì sulla scrivania e fece un salto sopra la testa dell’assalitore finendo dall’altra parte. Fu sorpresa del suo gesto. Non aveva mai fatto atletica. Premette un’altra volta il grilletto stavolta mirando ad un occhio. Centro perfetto. L’essere ora si muoveva meno sicuro. Non ci vedeva bene. Prese di nuovo la mira, ma stavolta non lo prese. Sparò un altro colpo e stavolta fece centro. L’essere era cieco e per questo perse il controllo. Iniziò a colpire da per tutto. Afferrò la scrivania e la lanciò dove pensava che ci fosse Hippolita. Doveva scappare ma la prima cosa che pensò e che se l’avesse fatto, il suo assalitore l’avrebbe cercata e avrebbe fatto del male a chiunque incontrasse. Non le era mai importato degli altri, le avevano fatto troppo male, però sapeva che era sua responsabilità proteggerli e lo avrebbe fatto. Si lanciò contro l’essere e lo colpì con i suoi piedi sul petto. Questo indietreggiò verso la vetrina, ma nulla di più. Hippolita invece si era fatta male. Era veramente d’acciaio quel dannato coso. Quando lo vide vicino alla vetrina, le venne in mente di buttarlo giù. Si rialzò e riprovò a colpirlo come aveva fatto prima. Ci riuscì. Il robot o cyborg sfondò la vetrina però le prese il piede e la trascinò con se. Prima di cadere insieme nel vuoto, una mano le afferrò il braccio. Era Aires che la guardava sorridendo.
-Giusto in tempo… se si voleva sbarazzare dei suoi contestatori non doveva lanciargli contro un uomo e se stessa… bastava l’uomo!- disse sorridendo e tentando di portarla dentro e al sicuro.
-Non era un uomo- gli disse affaticata ed esausta per lo sforzo che aveva fatto nel buttar di fuori il suo aggressore
-Lo so…-
-Come fa a saperlo?- gli chiese sospettosa
-Perché so chi l’ha mandato…-
-Dobbiamo denunciarlo…-
-Nessuno può fermarlo… morirebbero solo innocenti…-
-E quindi? Aspetto che mi uccida?-
-No, andiamo ad affrontarlo io e lei-
Fino ad un minuto fa, avrebbe dato del pazzo a quell’uomo. Non le importava di quella bambina che era stata uccisa da quel serial killer, figurarsi dei poliziotti che rischiavano la vita per compiere il loro lavoro… ora però era cambiata qualcosa. Non sapeva che cosa però.
-D’accordo.-

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