sabato 25 novembre 2023

La guerra dei Vespri

 



Secondo la Martorano, il Castello di Sant’Aniceto e con esso tutto il suo territorio sembra essere appartenuto al regio demanio dal 1269 al 1327.

Secondo Pietro Dalena tra il 1269 e il 1279 quasi tutti i feudatari dei castelli demaniali del Giustizierato di Calabria erano oriundi francesi, così troviamo un Adam Motet a San Niceto e un Raymon Bosse a Pentedattilo.


Secondo Francesco Arillotta dai registri Angioini scopriamo che una “comitissa” Isabella morta nel 1269 aveva concesso a tre fratelli reggini di portare acqua nei propri terreni. In quello stesso anno Carlo d’Angiò nomina castellano di S.Aniceto Raymundo Saycha. Poiché vengono documentati contemporaneamente un feudatario e un castellano bisogna supporre che la Casa Reale mantenesse il controllo diretto del fortilizio, mentre la famiglia feudataria risiedeva nell’omonimo paese. Infatti, oltre ai nomi dei vari castellani nel 1289 sono attestati il conte Bernardo de Ocris e la moglie Sibilla, che fondano il convento di S. Antonio del Campo.

Secondo Adele Coscarella ai primi decenni del governo di Carlo d’Angiò Calanna, San Niceto, Pentedattilo, Amendolea e Bova hanno costituito nel Medioevo un tratto importante della linea costiera meridionale dello Stato tanto da essere oggetto di interesse da parte del sovrano. Importantissimi come parte della delicata linea difensiva a protezione dello Stretto nella guerra dei Vespri, cioè nella guerra fra Angoini e Aragonesi, gli abitanti del castello di Pentedattilo nella prima metà del XIV secolo godettero di speciali esenzioni fiscali e di interventi da parte del provisores castrorum, cioè degli ispettori imperiali che avevano il compito di visitare regolarmente i castelli che ricadevano sotto la loro giurisdizione.

Dalla fine del trecento Santo Niceto sembra appartenere ai Ruffo di Calabria e quindi segue le vicende del marchesato di Crotone.

Sempre Arillotta ci informa che nel 1390 Ladislao di Durazzo toglie a una Giovanna Ruffo, vedova di Tommaso Sanseverino il feudo di S.Aniceto perché patteggiava per Giovanna d’Angiò e lo assegna a Nicola Ruffo, figlio di Antonello, conte di Catanzaro.

A questo punto per aiutarci nel narrare la nostra storia arriva in soccorso l’opera di Domenico Spanò Bolati con la sua Storia di Reggio Calabria.

Nella sua storia troviamo un primo riferimento a San Niceto ( San Nuceto per lui) nel 1372 quando ci riferisce che un diploma di Giovanna I riconosce come dipendenti della Capitania di Reggio tra i tanti anche San Nuceto appunto, Montebello e Motta San Giovanni e Pentidattilo.

Poi bisogna andare al 1383, quando Giovanna viene uccisa da Carlo d’Angiò Durazzo, che diventa sovrano come Carlo III e questo tutela i reggini contro le violenze degli abitanti di San Nuceto.

Per Arillotta alla morte di Nicola Ruffo nel 1434 eredita il feudo la figlia Enrichetta che era sposata con Antonio Centelles.

Nel 1443 Alfonso I d’Aragona, detto il Magnanimo, diventa re di Napoli dopo aver sconfitto Renato d’Angiò, ma nel regno ci sono ancora territori fedeli agli Angiò. Di volgere alla casata aragonese i casali nella provincia di Reggio se ne fa carico Nicola Melissari di Fiumara che dopo Scilla e Calanna, ed essere passato da Reggio, dedica la sua azione contro Motta San Giovanni. Riesce a prenderla senza che essa opponga resistenza, ma viene sottoposta al pagamento di 400 reali, probabilmente perché si era data alla causa angioina.

Infatti, sappiamo che Antonio Centelles in quel periodo si era schierato con gli angioni e questo gli costerà molto caro. Il Melissari passa poi a Montebello, che non aveva smesso di ubbidire ad Alfonso e quindi deve poi affrontare a Pentedattilo la resistenza di quindici famiglie filoangioini. Una volta caduto Pentedattilo, gli altri paesi circostanti tra cui Bova si arrendono senza combattere.

Dopo la morte di Alfonso il Magnanimo nel 1458 succedete al trono il figlio Ferrante, anche se molti nobili del regno decidono di ribellarsi e riconoscono come loro sovrano Giovanni d’Angiò.

In Calabria c’è una sollevazione quasi generale contro Ferrante, quasi solo la città di Reggio sembra rimanere dalla parte del sovrano aragonese. Ferrante per sedare la ribellione invia in Calabria suo figlio quattordicenne Alfonso, duca di Calabria insieme ad Antonio e Luca Sanseverino. A seguire il ragazzo in questa impresa c’è anche il suo educatore, nonché storico e poeta, Giovanni Giovano Pontano. Arrivato nella parte più meridionale della Calabria si avvia con il suo esercito contro Pentedattilo, che ancora una volta si rivela essere filoangioino. Poiché non vengono citate né Motta San Giovanni né Montebello dobbiamo pensare che queste fossero ancora fedeli agli aragonesi?

Pentedattilo cerca di resistere, ma al primo assalto dell’esercito di Alfonso viene preso e saccheggiato. Lo stesso Pontano narra di questo evento nel De Bello naepolitano.

Con la definitiva vittoria degli aragonesi, la città di Reggio ottiene nel 1465 la concessione reggia per distruggere tutte le fortezze e i castelli confinanti. San Niceto viene privato delle sue strutture militari e la popolazione costretta a risiedere nel villaggio vicino di San Giovanni, che viene fornito di un castello.

Arillotta ci informa che alla distruzione non dovessero essere estranei le popolazioni di San Giovanni e di Montebello, infatti qualche mese dopo la conquista del castello Ferdinando d’Aragona concede ai due centri autonomia amministrativa, poiché erano state benemeriti del re aragonese. In realtà l’autonomia amministrativa coabiterà con il governo feudale. Infatti, nel 1482 Alfonso non è più disposto a perdonare Antonio Centellas e sua moglie Enrichetta Ruffo e per questo gli toglie i possedimenti e li assegna ai suoi sostenitori. Viene concessa ad Alfonso Sanz e dopo la sua morte nel 1497 alla vedova Diano Mila o Milia, che muore nel 1507 senza lasciare eredi. Fino a questo punto il feudo Sant’Aniceto-Motta San Giovanni – Montebello era un tutt’uno, ma da questo momento la storia di Motta San Giovanni e di Montebello si dividerà per sempre.

Ferrante d’Aragona, duca di Montalto, figlio illegittimo di re Ferrante, compra la baronia di Motta San Giovanni, mentre quella di Montebello va a Lodovico Abenavoli, come premio per aver partecipato alla famosa disfida di Barletta.


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