giovedì 23 febbraio 2012

22/11/63


22/11/63
Scrivere una recensione su un libro considerato già da molti un capolavoro o giudicare il lavoro di uno  scrittore  la cui bravura è già stata avallata fa molti, potrebbe sempre un’inutile sforzo di scrittura per me e una perdita di tempo per voi che leggete. Questo è vero, non perdete tempo e andate a comprare e leggere questo libro. Questa recensione però mi servirà solo per mostrarvi le emozioni che mi ha suscitato il Re. Uno dei maestri della narrativa dei nostri tempi parte da un presupposto ormai banalizzato: “Cosa fareste se poteste tornare nel passato e cambiarlo?” Per molti americani la risposta è semplice, salverebbero il loro presidente più amato, JFK. Stephen King si butta quindi sulla politica e parla di un mondo bellissimo grazie a JFK? No! Utilizza le tesi di tutti i maniaci dei complotti del mondo sul delitto a Dallas? No! Per lui il colpevole è quello che lo è per la storia. Utilizza il viaggio nel tempo per poter farci leggere degli anni Sessanta dell’America. Le parole dello Scrittore ci riportano in quella epoca, ci fanno vedere le immagini, sentire i rumori e anche gli odori. Noi siamo catapultati insieme al protagonista nei meravigliosi anni Sessanta. Riguardo al viaggio del tempo ci sono due presupposti che evidenzia più e più volte nel libro: ad ogni viaggio nel passato tutto ricomincia dal primo ottobre, cioè se nel primo viaggio hai salvato una bambina dalla morte e nel secondo ci stai solo per un minuto e non hai il tempo di farlo al ritorno nel futuro la bambina sarà morta; il passato non vuole essere cambiato, cioè nel tentativo di farlo ti può capitare ogni cosa, dallo scoppio di una gomma all’essere pestato da un allibratore. Il protagonista intraprende la sua missione con molti dubbi, ma prima di potersi concentrare su essa ne deve affrontare altre due: salvare una famiglia dal padre e una bambina che altrimenti verrà paralizzata alla schiena per sbaglio da un cacciatore. Nelle prime due missioni, King ci mostra tutta la sua abilità nel creare suspense. Pur sapendo che tutto finirà liscio e che riuscirà ad arrivare incolume alla sua vera missione, più volte ho dubitato e mi sono chiesto: “Che cosa farà succedere? Come risolverà il problema?” Mi sentivo legato al protagonista, partecipavo completamente alla sua avventura. Superate le due missioni secondarie, Jake deve affrontare quella principale, ma prima si trasferisce per un periodo in una tranquilla cittadina americana. Dallas lo angosciava troppo. E’ questa seconda me la parte più riuscita nel libro, dove si vede che lo scrittore è un conoscitore degli animi umani. Crea dei protagonisti che escono dalla pagina per quanto sono tridimensionali. King anche se è considerato il re dell’horror,  riesce a mettere su una meravigliosa storia d’amore. Il protagonista e la sua amata affronteranno grandi prove, poiché il passato è contro di loro, tra cui il fatto che lei verrà sfregiata dal marito. Insieme i due supereranno gli ostacoli che il passato mette sul loro percorso per la mia gioia, visto che sono un’irrimediabile romantico. Insieme giungono al giorno dell’attentato e insieme affrontano il passato che si fa molto più minaccioso. Più è grande il cambiamento che si tenta di compiere, più saranno grandi le sfortune che il passato ti farà succedere. Insieme però riescono a cambiare il destino di JFK, ma tutto ciò ha un prezzo. La vita di lei. Il protagonista decide di tornare nel futuro e ricominciare tutto da capo: salverà lei e il presidente. Il futuro però non è come se lo aspettava. Il mondo è sull’orlo della fine ed è tutta colpa sua che ha salvato la vita al presidente. Torna nel passato per azzerare ogni sua azione e per salvare solo la sua donna. Capisce però che ogni sua azione può alterare e distruggere il mondo. Il passato non vuole essere cambiato, perché non può essere cambiato affinché ci sia un futuro. In un motel non fa altro che pensare a cosa fare. Vivere con lei sarebbe così grave per il futuro? Ci sarebbe davvero il destino del mondo in gioco? Deve scegliere tra il mondo e l’amore? Crede di si e sceglie tra le due cose. Leggete e scoprite se la sua scelta vi piacerà… Se c’è da trovare un neo in questo libro è il protagonista troppo perfetto, troppo intelligente, troppo buono. Siete arrivati fino a questo punto? Accidenti…non perdete ulteriore tempo e andate a leggere il libro.

Voto 9/10

sabato 18 febbraio 2012

Sed quis custodiet ipsos custodet?


Sed quis custodiet ipsos custodet? (Ma chi controllerà I guardian?)

Tra la notte di Sabato 11 Febbraio e Domenica 12 Febbraio all’uscita da una discoteca di Pizzoli, una giovane studentessa laziale dopo essersi divertita, come è giusto che sia alla sua età, ha iniziato a vivere un incubo. Sul suo corpo, ma ancora di più sulla sua anima sono stati incise cicatrici che il tempo potrà rendere meno evidenti, ma che mai potrà cancellare. Quattro giovani l’hanno avvicinata, tra di loro anche una donna, l’hanno aggredita e le hanno usato violenza. Dopo aver finito, ciò che probabilmente per loro era solo un divertimento, l’hanno lasciata atterra svenuta nella fredda neve, seminuda e in una pozza di sangue per le gravi ferite nelle zone genitali. Uno stupro quindi. Un normale stupro, che per quanto aberrante possa essere, non ha nulla di speciale.  C’è però un particolare. I quattro giovani sono stati fermati e a parte la ragazza, tre di loro sono militari, appartenenti al 33esimo reggimento artiglieria Acqui. Ecco la notizia. Persone che hanno giurato di proteggerci si rivoltano contro di noi, abusano di noi e usano la forza contro di noi. Per il ruolo che hanno gli sono stati dati poteri eccezionali e si sa che più grande è il potere e più grande sarà la corruzione. Credevano di essere sopra la legge? Di poter agire senza che nessuno li potesse fermare? Probabilmente si. Sono stati fermati e portati in caserma e dopo essere stati ascoltati come persone informati dei fatti, sono stati rilasciati. Aspettate a gridare allo scandalo. Per il momento gli investigatori stanno indagando e soprattutto stanno valutando le prove scientifiche raccolte. Non iniziate fin da subito a mettere in dubbio la giustizia italiana, comunque anche se dovessero in seguito essere riconosciuti colpevoli e arrestati, non iniziate nemmeno a credere che la giustizia punisca tutti. In fondo questi militari sono solo pesci piccoli, sono infatti militari in ferma breve. Molte altre persone che dovevano proteggerci sono stati accusati e dichiarati colpevoli di crimini ben più gravi eppure la mannaia della giustizia su di loro non è mai calata. E allora chi controllerà i guardiani? Chi ci proteggerà da loro?

sabato 4 febbraio 2012

La signora di Ellis Island


La signora di Ellis Island
Fare la recensione di questo libro per me è molto difficile. Non mi reputo degno di parlare di un libro che mi ha colpito e che reputo uno dei pochi capolavori della letteratura italiana. Qualcuno si chiederà: davvero questo libro è così bello? Vi posso solo dire una cosa. Per me lo è. Quando l’ho letto ho pensato immediatamente all’Iliade e all’Odissea. Questi due capolavori infatti oltre ad essere pieni di gesta eroiche, parlano di un Popolo. Questo libro allo stesso modo parla di un Popolo, il Popolo Calabrese. Ecco perché vi dico che per me lo è. Chi è il nostro Omero? Uno sconosciuto, un ingegnere di sessanta anni, Mimmo Gangemi, che per anni ha mandato i suoi scritti alle più svariate casi editrici fin quando ormai “vecchio” è stato scoperto Giancarlo De Cataldo. Il nostro narratore usa un linguaggio che tocca punti altissimi e allo stesso tempo abbastanza bassi, ma mai troppo volgari, che può essere ironico e drammatico nella stessa pagina. Il libro è diviso in due parti, il protagonista principale è un uomo Giuseppe, figlio maggiore di una famiglia contadina. Nella prima parte del libro è costretto a partire in America perché deve potersi elevare un po’ per poter sposare Assunta, visto che la famiglia di lei si consideravano troppo per lui. Insieme a lui partono tanti amici tra cui Antoni, che invece non vuole più tornare in Calabria, vuole vivere in America e allontanarsi dalla gente che lo conoscono e conoscono la sua vergogna, le corna della madre e delle sorelle. Appena arrivato alla Merica, Giuseppe non si sente bene. Non sapendo di essere allergico, ha mangiato delle fave e non si regge in piedi. Non riesce a passare la visita di controllo e viene messo in isolamento in attesa di essere rispedito a casa. Mentre è colto dalla disperazione, gli appare una signora vestita di azzurro e con un bimbo in braccio, che lo aiuta ad uscire dall’isolamento e lo porta fuori dalla zona di controllo, dove gli amici stupiti lo riabbracciano. Per lui quella signora vestita di azzurro è la Madonna del Carmine. Giuseppe così può iniziare a vivere in America e insieme a Antoni fanno dallo zio Rosario che lavora in una miniera. Anche Giuseppe inizia a lavorare in miniera e a guadagnare i soldi per poter ritornare in Calabria e potersi comprare un podere. Assunta invece è persa. La famiglia l’ha fatta sposare con un altro. Durante il suo soggiorno in America, apprendendo la vita faticosa e discriminata degli italiani emmigrati, conosce due persone, uno è Ehitù, un ragazzo orfano che diventa suo fratello minore, l’altra è Sara. Ehitù è il protagonista di alcune delle scene più toccanti e tristi di tutto il libro. Sara potrebbe essere colei che cambia i piani di Giuseppe  facendolo rimanere in America. Così non avviene perché il padre di lei Turuzzo si oppone. Guadagnati i soldi necessari, ritorna in Calabria. Prima di partire però a Novaiorca intravede una donna che le sembra familiare. Un suo amico rivelerà allo zio Rosario che si tratta di una donna che se la intende con un capo dei gendarmi di guardia a Ellis Island e che quando può lascia passare qualche paesano. Giuseppe stava parlando con un altro e non ascolta altrimenti anche lui avrebbe capito che era stata lei a salvarlo quel giorno. Il mistero è svelato, ma Giuseppe non lo so e mai lo saprà.  Nel suo paese si sposa con Anna Maria, una ragazza che apparteneva ad una famiglia nobile decaduta. Mentre si costruisce la sua famiglia arriva la Grande Guerra e Giuseppe è chiamato alle armi. Sfuggito alla morte, a casa lo attende la tragedia più grande che gli potesse capitare: la morte della sua primogenita Antonia per via della spagnola. Questa tragedia lo incattivisce con i figli rimasti soprattutto con Saverio, anche lui ammalato di spagnola ma sopravvissuto, e lo fa allontanare dalla sua fede che fino a quel momento era salda. Pian piano però supera la tragedia e anche la fede ritorna e con lui il desiderio di avere un figlio prete. Il libro a questo punto passa a parlare di altri due protagonisti Saverio e Ciccio. Uno nella sua vita fuori dal paese e nel mondo, tra Roma, Bengasi e come prigioniero in Australia e Inghilterra, l’altro mentre diventa prete e affronta i dubbi riguardo a questa scelta. Saverio dopo un lungo viaggio di formazione, torna al paese e lì capisce che quella è la sua casa. “Sapeva che gli affetti li avevano riaffondato lì le radici, frantumando l’idea che, dopo tanto girovagare, non si sarebbe più adattato. Era il punto d’approdo, quel disordinati ammasso di case a cavalcioni sul dorso della collina, con i muri di nuda pietra che si ergevano a scorticare la natura, con la distesa grigia di ulivi e i fianchi del monte vestiti di fitta brughiera e d’inverno imbiancati da una nebbia che scendeva a sfumare in dissolvenza ogni cosa. Gli era persino voglia di sentir soffiare il levante tanto odiato dal padre: conteneva il fiato di tutti e le parole che furono, e che a lui erano mancate. Era un mondo di miseria, certo, con nulla delle luci di Bengasi, del senso di pace che trasmetteva Lekemti, delle verdi campagne dell’Essex. Ma si appartenevano l’un l’altro, era l’unico posto dove fermare il suo tempo, perché lì dimoravano i suoi morti, che incatenavano più dei vivi, lì lo inchiodavano il marchio di troppi ricordi, lì si sentiva a casa.”

Voto 10/10

mercoledì 25 gennaio 2012

L'importanza di avere un telefono...fisso.


In Calabria le cattive notizie arrivano sempre in ritardo; le belle a volte non arrivano mai. Possiamo affermare, però, con estrema sicurezza che, sebbene quasi tutte le case dei paesini delle provincie calabresi siano fornite di televisori super teconologici (i giornali cartacei lì non arrivano), ancora le notizie culturali importanti vengono, o per dimenticanza o per ignoranza, omesse; tuttalpiù vengono liquidate con poche sterili parole dai scrupolosi notiziari nazionali o regionali.
Così, capita che giungano dopo giorni; capita che,inaspettatamente, vengano comunicate tramite l'unico mezzo disponibile e utile in questi remoti paesini: il telefono fisso! (Scarseggiano, per nostra buona salute, e non per mia fortuna,  le antenne dei vari gestori telefonici per telefoni mobili).
Oggi è accaduto proprio questo: con poche parole, per telefono (vi risparmio le dinamiche della coversazione tutta culturale), vengo a conoscenza della morte di un grande romanziere siciliano. Uno degli ultimi veri del secolo scorso.
Era un grande uomo. Occhi scuri e vispi, la fronte rugosa. Contava settant'otto anni, tuttavia il volto rivelava una bellezza giovanile ancora intatta. Il sorriso spalancato alla vita. Nacque un giorno di febbraio, il 18 del 1933 a Sant'Agata di Militello, in provincia di Messina.Sabato 21 gennaio 2012, a Milano, la sua dipartita. Considerato dai critici uno dei più grandi scrittori contemporanei; voce della Sicilia e del Sud; candiadato più volte al premio Nobel per la Letteratura; vincitore di numerosi premi all'estero e in patria: ha vinto il Premio Pirandello per il romanzo ''Lunaria'' nel 1985, il Premio Grinzane Cavour per ''Retablo'' (1988), il Premio Strega con ''Nottetempo", il Premio Internazionale Unione Latina con ''L'olivo e l'olivastro'' (1994), il Premio Brancati con ''Lo spasimo di Palermo'' (1999), il Premio Flaiano (1999) e il Premio Feronia con "Di qua dal faro'' (2000).
Esordi' nel 1963 con "La ferita dell'aprile" (Mondadori), ma si e' pienamente rivelato al grande pubblico con "Il sorriso dell'ignoto marinaio" (Einaudi 1976).
 Dopo aver vinto un concorso in Rai nel 1968, si trasferì e lavorò a Milano.
In una significativa intervista del luglio 1977 di Mario La  Cava, suo amico, entrambi sorridono su chi insegue il successo e la fama: 
Siamo nati e cresciuti nel Meridione, siamo di una terra troppo antica e troppo saggia per nutrire certe illusioni, per credere a moderni e ambigui valori, a miti americani .[...] Grandi scrittori come Alvaro e De Roberto sono stati  subito dimenticati. Figurati cosa capiterà a noi, infinitamente più piccoli, a noi dico, non dopo morti, ma ora, subito [...]

Mi piace pensare che, adesso, siano insieme lo scrittore di Sant'Agata di Militello ,Vincenzo Consolo, quel tenero,candido,poetico Mario La Cava di Bovalino
e Leonardo Sciascia di Racalmuto. (Accomunati anche nella fine tormentata da un cancro). Mi piace pensare che vivranno per sempre, che non verranno dimenticati né subito né ora; Mi piace nutrire quest'illusione , anche se provengo da una terra troppo antica e saggia, anche se sono nata nel Meridione; in un paesino calabrese dove è
importante, ancora, avere un telefono fisso.

venerdì 20 gennaio 2012

I POLITICI


          C’e’ un signore basso e ricco

che l Italia mette in riga

se le coscienze vanno a picco

lui si consola con la figa.

Perde tempo, spende e spande

e di tutti se ne fotte

e’ finito gia’ in mutande  

ma continua ad andar a mignotte.

C’e’ chi invece e’ un po’ piu sobrio

si vede poco ed e’ impostato

quando parla, ma che obrobrio

e’un innocente ingiustificato.

Lui niente ha mai saputo

dell’appartamento in omaggio

cosi generoso quello sconosciuto

  ma se so chi è! ”, si merita un pestaggio.

C’e’ uno “alto bello e biondo”

che ce l’ha con il precario

se l’economia va a fondo

lui difende il suo salario.

Della giustizia il paladino

il suo monito non si disperda

come disse di banco il suo vicino

“ e’ proprio un gran nano di merda”.

I piu’ sobri sono loro

delle camere i presidenti

uno e’ calvo l’altro e’ moro

sono stati un po’imprudenti

“Mi tradira’ tre volte prima che canti il gallo”

“Della politica abbatteremo i costi”

uno ha la casa non sua a Montecarlo

l’altro fa vacanze con gli euro nostri.

Potrei continuare all’infinito

ma la situazione alla lunga stanca

Bossi nel culo deve mettere il suo dito

ad una rivoluzione poco ci manca.


Ci han definito “ bamboccioni”

ci hanno rubato il futuro nostro

dobbiam tirare fuori i coglioni
SOLO NOI POSSIAM METTERE LE COSE A POSTO…

Scritto da AV

giovedì 19 gennaio 2012

Angeli violentati



Sento il bisogno, quasi la necessita’ incombente, di sottolineare come l’animo umano, latente espressione di nobili virtu’, possa essere avvolto, intorpidito e sopraffatto da silenti sussulti di vilta’.L’ineffabile leggerezza con cui vengono perpetuati abusi, il torbido mare della crudelta’ in cui si lavano le coscienze, in cui l’efferatezza dei gesti viene annegata nella sorda indifferenza , nella quasi normalita’, in alcuni casi familiare, di una sopraffazione dell’ingenuita’, della purezza del corpo  e dell’anima di un bambino. La violenza, da condannare in ogni sua forma ed espressione, “ vive con noi, vive in noi. E’  simbolo di una convivenza civile deteriorata, di una civiltà malata, al tramonto, che ha perso valori, virtu’ e qualita’ morali necessari alla sua sopravvivenza. Si annida nei meandri oscuri del nostro intelletto e si manifesta con gesti e azioni deplorevoli , che uccidono fisicamente e psicologicamente chi la subisce, lasciando solchi profondi ,  squarci affettivi permanenti, “intime” ferite e segni indelebili nel corpo e nell’anima. Angeli abbandonati, che muoiono di fame, ridotti in schiavitù, che lavorano quindici ore al giorno al servizio delle multinazionali. Angeli uccisi, massacrati, trucidati, maltrattati.  Angeli sfruttati da clan criminali o dal mercato della pornografia. Angeli mandati al fronte come soldati.  Angeli che spesso subiscono abusi all'interno della famiglia stessa, difficili da sapere o riconoscere perché raramente denunciati a causa della giovinezza, dell'inesperienza, spesso della vergogna della vittima stessa, della complicità imposta violentemente dalla famiglia, dell'ignoranza, degli ambienti familiari degradati, della paura . Sono spesso privati della loro infanzia, diventando mera proiezione dei  desideri degli adulti. Si tratta di orrori cui la coscienza, per chi ancora ne possiede una, non puo’ e non deve restare insensibile. Una collettività che infierisce sui più deboli è una società violenta, in cui nessuno è al sicuro, dove l'avidità, la chiusura mentale, l'aggressività primitiva, l'aridità dei sentimenti, il dominio del disumano e del Male stringono mente, anima e cuore in una morsa letale. Una società che abbia sensibilità verso i bambini è una comunità che può ancora guardare al futuro con speranza, che può progredire, che sa sognare, che può salvarsi.  I bambini rappresentano l'innocenza e il futuro, hanno solo bisogno di essere amati, di giocare, di crescere armoniosamente, di imparare. Noi, daltrocanto,  dovremmo riscoprire la gioia nel lasciarsi intenerire dagli occhi meravigliati di un bambino, dalla sua ingenuità, dalle sue domande originali, dalla serietà con cui gioca.                                                                                                      
                                         E’ facile calpestare i diritti ….  quando non sono i tuoi”


Scritto da AV

martedì 17 gennaio 2012

Confieso que he vivido


Accade in tutte le età. Accade all’alba o all’imbrunire; da soli o in compagnia. Inaspettata viene a cercarci; con prepotenza, bruscamente, nel silenzio, ci tocca, ci riempie di commossa mestizia e implicita felicità.   Accade mentre leggiamo i versi di un polveroso libro; siamo lì che ne fiutiamo l’anima e la carta, riconoscendo in quel profumo atavico l’essenza vera della vita, la responsabilità che c’è nel vivere, la testimonianza di un vissuto. E’ la poesia che ci parla.
Tutto è iniziato inaspettatamente con una canzone dei Pooh e con quel “Dio delle città” a cui loro invocano suppliche.  Non vorrei sembrare blasfema, ma tutto è iniziato da lì.  Da “Uomini soli”. Da una canzone popolare disperata. Ed io altrettanto ad ascoltarla. Non so se definire il testo dei Pooh poesia; sebbene ne apprezzi il testo, non azzarderei un giudizio in proposito. So, però, che ascoltando quelle parole mi è ritornata in mente una vecchia lettura di tanti anni fa. Un capolavoro indiscusso. Una poesia che dopo anni ancora mi riempie e mi tocca: « Uomo solo »,dalla raccolta  “Residenza sulla Terra”, 1925-1931, di Neftalì Ricardo Reyes Basoalto. Il Cile gli diede i natali. Parral è la città d’origine. Il 1904 è l’ anno di nascita. Viaggiò molto e visse una vita intensissima come politico, come poeta e come essere umano. Premio Nobel per la Letteratura nel 1971. Morì nel 1973.  Per chi, come me, ama e apprezza il suo genio, è semplicemente Pablo Neruda.   
Graffia e fa arrossire questa poesia. S’intrecciano giochi surreali, accostamenti di oggetti e persone che abbelliscono il caos e finiscono per animarlo con una pungente forza poetica. Confessa, Pablo Neruda, di aver vissuto e di averli fatti vivere questi uomini. Uomini soli, originariamente liberi, perché non riconoscono null’altro che sé . In maniera ancestale e viscerale il piacere dei sensi percorre ogni verso, lasciandosi dietro un asfissiante angoscia. Amo questo “Uomo solo” questo uomo-umano di Neruda.  Amo i  giovani omosessuali e le ragazze innamorate. Amo le studentesse e i preti che si masturbano; gli sposi e le mosche, i cugini e i professori. Amo la vita cruda e vera. E poi vi ricordo, attraverso le parole del poeta, che quando la spieghi la poesia diventa banale, meglio di ogni spiegazione è l'esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia ad un animo predisposto a comprenderla. Per questo dimenticate ciò che ho detto sin ora. Infondo, come disse Mario Ruoppolo, alias Massimo Troisi ne “Il Postino”: la poesia non è di chi la scrive, è di chi... gli serve!
  Voto 10/10                                           

Uomo solo

I giovani omosessuali e le ragazze innamorate

e le lunghe vedove che soffrono di delirante insonnia

e le giovani signore ingravidate da trenta ore

e i rauchi gatti che attraversano il mio giardino buio,

come una collana di palpitanti ostriche sessuali

circondano la mia residenza solitaria,

come nemici impiantati contro la mia anima,

come cospiratori in veste da camera

con la consegna di scambiarsi lunghi viscidi baci.

L’estate radiosa guida gli innamorati

in uniformi reggimenti malinconici,

formati da grasse e magre e gaie e tristi coppie:

sotto le eleganti palme, vicino all’oceano e alla luna,

c’è una continua vita di pantaloni e gonne,

un frusciare di calze di seta accarezzate,

seni di donna che luccicano come occhi.

Il piccolo impiegato, dopo tanto,

dopo il trantran settimanale e i romanzi che legge la sera a

letto,

ha definitivamente sedotto la sua vicina

e la porta negli squallidi cinematografi

dove gli eroi son puledri o principi appassionati,

e ne accarezza le gambe piene di dolce peluria

con le ardenti mani sudate che puzzano di sigaretta.

Le sere del seduttore e le notti degli sposi

si uniscono come due lenzuoli per seppellirmi,

e le ore dopo desinare, quando i giovani studenti

e le giovani studentesse e i sacerdoti si masturbano,

e gli animali fornicano senza preludi

e le api odorano di sangue e le mosche ronzano colleriche

e i cugini fanno strani giochi con le cugine

e i medici guardano con rabbia il marito della giovane

paziente,

e le ore del mattino quando il professore, come per una

svista,

assolve il suo debito coniugale e fa colazione,

e più ancora gli adulteri, che si amano di vero amore

sopra letti alti e lunghi come imbarcazioni:

immancabilmente, incessantemente mi assedia

questo gran bosco di respiri e di viluppi

con grandi fiori simili a bocche e a dentature

e nere radici a forma d’unghie e di scarpe.

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